"Trattati come carne da macello". Il racconto di un egiziano che ha denunciato gli scafisti

“Trattati come carne da macello”. Il racconto di un egiziano che ha denunciato gli scafisti

Alessandra Serio

“Trattati come carne da macello”. Il racconto di un egiziano che ha denunciato gli scafisti

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giovedì 07 Novembre 2013 - 14:48

Mentre la città fa i conti con l'emergenza profughi, a Palazzo di Giustizia si celebra il processo agli scafisti arrestati nel 2010 proprio dalla Squadra Mobile di Messina. E un giovane egiziano che ha denunciato i trafficanti di uomini svela il racconto da incubo del viaggio e di quel che accade prima e dopo.

Un inferno. Il racconto di un mese da incubo in un girone del diavolo, alla ricerca della strada per la libertà, per poi accorgersi di essere invece finito in un altro girone infernale, quello della schiavitù. Nei giorni in cui Messina vive da vicino l'emergenza profughi,in Tribunale si celebra il processo ai dieci scafisti arrestati nel 2010. E in aula sfilano i giovani, vittime dei trafficanti di uomini.

Proprio ieri in udienza giudici ed avvocati hanno ascoltato le parole di uno di loro, un egiziano sbarcato a San Leone nell'estate del 2010 e fermato a Giardini Naxos qualche giorno dopo, dalla Polizia stradale, in un camion telefonato che viaggiava in autostrada. Dentro c'erano stipati 84 africani. Nelle sue parole, il racconto dell'incubo impresso negli occhi di tanti giovani che come lui sono scappati dalla guerra, dalla fame e dalla persecuzione. Gli stessi occhi che hanno i ragazzi ospitati al PalaNebiolo. "In Egitto c'era la legge marziale, si viveva malissimo, nella paura. Volevo scappare, volevo andare in un paese che non torturava e uccideva, come avevano fatto tanti prima di me. Dall'Egitto scappano tutti". Il ragazzo oggi ha 28 anni, e rispondeva alle domande del sostituto procuratore della Dda di Messina, Giuseppe Verzera, che ha coordinato le indagini della Squadra Mobile di Messina. Dieci gli scafisti arrestati nel blitz Rais, a maggio 2012, oltre 200 i nordafricani rimpatriati.

A dare il via all'inchiesta proprio il fermo di quel camion, guidato da un italiano, intercettato sulla Messina-Palermo. A bordo del quale c'era anche l'egiziano che poi ha deciso di denunciare i suoi aguzzini. Guadagnandosi le minacce di morte. "Grazie ad un mio amico ho contattato un mediatore, un uomo che tiene i contatti tra chi vuole fuggire e gli organizzatori dei viaggi della speranza. L'accordo prevedeva il pagamento di 8 mila euro che la mia famiglia avrebbe corrisposto a sbarco avvenuto. Se non pagavano, sarebbero stati tutti ammazzati. Una volta arrivato in Italia avrei dovuto telefonare a casa e a quel punto il mediatore sarebbe passato a riscuotere. Quando tutto era pronto per la traversata,alcuni uomini mi hanno portato in un parcheggio, di lì con un pullman in una moschea abbandonata".

E' qui, in questi luoghi di culto sconsacrati, che per i profughi comincia l'orrore. "Ci hanno ammassato all'interno, eravamo centinaia. Ci hanno tolto i telefonini, i soldi, ogni oggetto che avevamo addosso e il cambio di vestiario. Ci hanno costretti a sdraiarci a terra, faccia in su, per rimanere così per 10 giorni. Senza mangiare se non un tozzo di pane ammuffito ogni due giorni, senza bere se non qualche goccio d'acqua che ci versavano sulla bocca. Per alzarci e andare in bagno dovevamo chiedere il permesso, ci scortavano armati e ci riaccompagnavano al posto. " Guardati a vista da guardie armate fino ai denti, è così che i trafficanti "preparano" i profughi alla traversata, che dura appunto 10 giorni. "E se qualcuno non ce la faceva più e si alzava?", ha chiesto il pm Verzera. "Ci picchiavano a sangue, ci torturavano. Non potevamo neanche fiatare. Ci picchiavano anche se starnutivamo". Dopo giorni così, venivano imbarcati su un piccolo natante che li conduceva in alto mare dove li attendeva il barcone. Qui venivano stipati per il viaggio, nelle stesse condizioni disumane patite nella moschea. Poi l'arrivo, sulla spiaggia siciliana, e la telefonata a casa.

"Quando in Egitto hanno saputo che avevo raccontato tutto alla Polizia", ha spiegato il giovane egiziano, "sono andati da mio fratello e gli hanno intimato di farmi ritrattare. Se non lo avessi fatto sarebbero venuti ad ammazzarmi fino in Europa, e avrebbero fatto patire cose bruttissime alla mia famiglia in Egitto".

L'operazione Rais, oltre agli arresti, ha permesso di individuare 33 trafficanti di uomini, ricostruire il retroscena di tre sbarchi avvenuti sulle coste siciliane nel 2010 e catturare alcuni tra i più importanti organizzatori di questo orrendo traffico. Latitante rimane invece il vero "Rais", cioè il multimiliardario egiziano Josef. Malgrado i mandati di cattura internazionali, resta uccel di bosco, vive da nababbo assistito da un vero e proprio esercito, lucrando sulle tragedie dei suoi connazionali, governando con la paura e il terrore le loro famiglie.(Alessandra Serio)

Un commento

  1. giuseppe mondo 1 Maggio 2015 10:47

    ma taccativi o tram!!

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