L’abolizione infinita delle Province, ovvero la mamma di tutti i flop di Crocetta

La mamma di tutti i flop di Crocetta è senza dubbio l’abolizione delle Province.

Un anno e mezzo dopo da quando, nel fatidico maggio 2013 il governatore rivoluzionario in nome della lotta agli sprechi decise che i siciliani non avrebbero più eletto i rappresentanti della Provincia, la riforma è ancora, esattamente come allora, in alto mare. Anzi è prossima al naufragio per essere sostituita con quella vera, fatta dal ministro Delrio in tempi umani. Eppure, un anno fa Crocetta inneggiava su tutti i quotidiani “La Sicilia è la prima Regione ad avere abolito le Province”. Peccato che l’unica cosa che Crocetta ha abolito è la democrazia rappresentativa, lasciando al posto di giunte e consigli regolarmente eletti un piccolo esercito di commissari da lui personalmente scelti e prorogati più volte. Nei giorni scorsi, appena si è reso conto che anche questa volta la Regione non avrebbe rispettato la data del 31 ottobre per il varo della riforma, ha deliberato una nuova proroga per i commissari, fino al 30 marzo 2015, lasciando addirittura le porte aperte a possibili sostituzioni, nel caso in cui, riteniamo, debba decidere di dare una poltrona a qualcuno dei suoi alleati che cambiano in base alla settimana. Nell’attesa di una riforma che ha una gestazione simile a quella degli elefanti e che ha comportato un tale numero di varianti e modifiche che non si capisce più quale sia l’ultima versione, peraltro ancora chiusa nei cassetti del governo, Crocetta fa e disfa a piacimento e tiene saldamente il controllo degli Enti locali intermedi.

Sei mesi fa ci eravamo lasciati con l’annuncio che la fine della lunga gestazione era arrivata e che per i Liberi Consorzi tra Comuni e la Città Metropolitana oramai si era ai “dettagli”. L’annuncio trionfale fu: entro il 31 ottobre la riforma sarebbe stata completata con le funzioni e le competenze da affidare ai nuovi Enti. Nel frattempo i Comuni dell’isola avrebbero dovuto decidere il da farsi, nonostante l’assenza di informazioni precise ed una “cornice normativa” talmente confusionaria da prendere per stanchezza chiunque volesse cimentarsi. Ovviamente anche questa scadenza non sarà rispettata e nel frattempo il presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone ha pensato correttamente di recepire la riforma Delrio che invece di limitarsi agli annunci è già concreta. Così mentre dalla prossima settimana all’Ars inizia la discussione sui vari disegni di legge in argomento e sulle proposte di modifica, l’unica a mancare all’appello è proprio quella del governo.

A conti fatti nell’isola della rivoluzione l’unico cambiamento è stato cancellare con un colpo di penna le elezioni per le Province e trasformare i commissari quasi in podestà, legati tra l’altro ad un vincolo dal governatore che ne decide sorti e proroghe. A questo punto non si capisce perché debba essere un Presidente della Regione a scegliere per due anni chi amministra il nostro territorio e non possiamo scegliercelo noi, anche perché, la “straordinaria” capacità normativa e innovativa di questo governo ancora non l’abbiamo vista. Due anni di commissariamento rasentano il ridicolo,perché due anni per fare una riforma che riporta la situazione rispetto a quanto previsto dallo Statuto siciliano ci sembrano francamente eccessivi. Affidare la gestione della Regione ad un governo che sta impiegando più tempo per una legge che non quanto i nostri illustri avi hanno impiegato per fare la Costituzione sembra un salto nel buio. Il flop dell’abolizione delle Province è lo specchio di questo governo annunciato e sempre in gestazione, che ha cambiato più assessori e dirigenti di quanti allenatori abbia cambiato Zamparini al Palermo, un governo sempre in bilico tra le decisioni di Re Saro e le baruffe con gli alleati, intento più a sfornare nomine e poltroncine e dichiarare al mondo complotti di vario genere (politici, mafiosi, dirigenziali, giornalistici, etc etc) che non atti concreti.

Alla vigilia del “compleanno” a fine ottobre,l’unico dato certo è che il governo Crocetta ce lo dobbiamo tenere fino al 2017 solo perché i deputati eletti non hanno alcuna intenzione di tornarsene a casa e questo non è un motivo nobile. Vista la situazione fallimentare e l’impossibilità di tornare alle urne a causa di queste motivazioni personali, resta il rimpianto per la vecchia normativa elettorale che portava nei casi di paralisi come questi a cambiare giunta e presidente con i famosi ribaltoni o rimpasti.

Ma questa è un’altra storia.

Rosaria Brancato