Bomba Zanca pronta ad esplodere… ma la “scintilla” della mobilitazione è ben altra cosa

Riuscire a disinnescare un ordigno senza causare danni, a cose o persone, è spesso un’operazione di alta chirurgia tecnologia. Sono necessarie capacità e competenze raffinate, di cui pochi sono possessori. Molto più facile, invece, mandare tutto per aria. Tra i due estremi c’è però una fase di mezzo, ancor più delicata, dove l’ansia, generata dalla paura di non sapere cosa potrebbe accadere da lì a qualche minuto, si unisce alla speranza che la situazione rimanga sotto controllo. Quest’ultima, però, sarà comunque una condizione “falsata”, di calma apparente, perché il pericolo del “boom” sarà sempre dietro l’angolo.

Il paragone potrebbe apparire esagerato ma, a nostro avviso, è proprio questo ciò che sta avvenendo al Comune di Messina, dove il mancato pagamento degli stipendi di settembre ai dipendenti comunali, rischia di far esplodere la bomba. Un ordigno fino ad oggi rimasto ben seppellito sotto terra e che forse nessuno avrebbe mai immaginato potesse essere portato in superficie, quasi fosse intoccabile. Perché è esattamente così, intoccabile, che è sempre stato considerato il tanto agognato posto fisso, ovvero pubblico. Ebbene, quanto accaduto questa mattina a palazzo Zanca, dimostra l’ormai evidente fragilità di un marchingegno, anzi di un meccanismo che basta poco per “incendiare”. Negli occhi dei dipendenti comunali che per l’intera mattinata hanno riempito i corridoi di piazza Unione Europea, la rabbia era evidente: una rabbia, però, diversa da quella osservata, in tante altre occasioni, nello sguardo dei dipendenti dei servizi sociali, o perché no delle società partecipate. Negli ultimi due casi, infatti, tale sentimento è sempre stato “macchiato” da quella rassegnazione con cui, soprattutto negli ultimi anni, i lavoratori hanno imparato a convivere, perché loro non sono “dipendenti comunali”. Questi ultimi, invece, ed è proprio questo a renderne diversa la rabbia, si sono sempre sentiti forti, spesso inconosciamente, della loro posizione “pubblica”. Adesso che anche quell'aggettivo, “pubblico”, appunto, non è più sinonimo di garanzia, ogni certezza viene a cadere. E’ per questo, che quella dei comunali, soprattutto degli “indeterminati”, è una rabbia arrabbiata e non una rabbia rassegnata. Ecco perché lo stipendio, pur se in modo del tutto legittimo, lo pretendono senza se e senza ma; lo pretendono perché “siamo noi che reggiamo questo comune”, lo pretendono perché “siamo indispensabili”, lo pretendono, spesso, senza aver mai partecipato ad alcuna riunione o assemblea sindacale. Fatte ovviamente le dovute eccezioni, in cui però saranno pochi a ritrovarsi.

Ancora diverso è, invece, il caso dei precari, su cui pende la spada di damocle di una stabilizzazione che tra rischio dissesto, tagli e spending review, potrebbe non arrivare mai. Alcuni di loro alzano la testa, ma lo fanno in modo timido. E invece dovrebbero essere proprio loro la “testa” diogni mobilitazione, di ogni protesta, sia essa organizzata in modo “improvvisato”, come quella di questa mattina, sia essa precedentemente convocata. Il personale comunale, tra precari e non, raggiunge le 1800 unità. Saranno stati all’incirca un centinaio quelli che questa mattina, tra avanti e indietro, hanno fatto rumore tra i corridoi dal Comune. Solo sul viso di pochi è stato possibile leggere la disperazione: quella vera, quella con la D maiuscola, quella di chi non sa veramente cosa servire in tavola per pranzo o cena. Per tutti gli altri, invece, non è stata una giornata di protesta, bensì di pretesa. Parliamo di chi, dopo una mattinata di legittimi sfoghi per l’ottenimento di un diritto sacrosanto, quello allo stipendio, all’una e trenta in punto è scappato via, perché non era più la bocca a parlare, ma la pancia: e quest’ultima non poteva certo aspettare.

Il ritardo nella corresponsione della mensilità di settembre, oltre ad aver definitivamente messo a nudo la condizione di emergenza di un ente che si ritrova in cassa appena pochi spiccioli, ha, forse per una volta, messi tutto sullo stesso piano. Perché anche l’intoccabile “pubblico” è diventato spettatore del crescente e dilagante disagio sociale.