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Quella spazzatura accumulata nei fondali dello Stretto: un pugno nello stomaco per Messina

Dopo decenni di totale abbandono e incuria il conto da pagare è davvero salatissimo. Per anni le nostre fiumare si sono trasformate in enormi discariche a cielo aperto. Molto comodo per i soliti “incivili” nostrani smaltire ingombranti di ogni tipo e dimensione, sapendo di farla franca. Non vi è una sola fiumara nel territorio cittadino che non sia stata adibita a discarica. Peccato che i letti di queste fiumare, secchi durante l’estate, con l’arrivo delle prime intense piogge, o dei violenti nubifragi autunnali (quelli responsabili delle alluvioni lampo che colpiscono ciclicamente il territorio peloritano), si riempiono d’acqua in poco tempo, spazzando via tutti questi rifiuti verso le rispettive foci. I tempi di corrivazione molto rapidi (una caratteristica delle fiumare messinesi) si associano ad ondate di piena praticamente istantanee e in alcuni casi anche violente che fanno tornare il letto del torrente come “nuovo”.

L’enorme quantità di rifiuti presente a grandi profondità lungo i fondali dello Stretto di Messina

La maggior parte di questa spazzatura, in larga parte costituita da plastica, poi scivola molto rapidamente (raggiungendo alle volte valori di 20 m/s) sul ripidissimo pendio marino che caratterizza lo Stretto di Messina, accumulandosi sul fondo del mare, a grandi profondità (al di sotto dei 500-600 metri). Per la prima volta i geologi dell’Università La Sapienza e del Cnr hanno documentano il fenomeno con una telecamera subacquea. Partiti per realizzare la carta geologica del fondale a mille metri di profondità, si sono ritrovati di fronte i loro occhi uno scenario davvero sconfortante negli abissi dello Stretto.

La telecamera sottomarina pilotata via cavo dalla nave del Cnr Minerva è riuscita a scovare, semisommersa dal fango marino, persino una macchina, una barca in vetroresina, un forno, un bambolotto, oltre ad un’infinità di sacchi e sacchetti di plastica, flaconi e lattine, depositati sul fondale, e ormai semi coperti dalla melma. Mai gli scienziati avevano documentato una scena simile in fondo al mare. La densità di spazzatura nello Stretto di Messina è superiore di mille volte a censimenti simili sui macro-rifiuti dei fondali. La telecamera ha percorso più di 6 chilometri fino a 600 metri di profondità, in quattro punti dello Stretto, due di fronte a Reggio Calabria e due sul versante messinese, a pochi chilometri a sud del capoluogo peloritani, davanti le foci del torrente Larderia e San Filippo per intenderci.

La mappa indica le aree interessate da questa ricerca

Contare e classificare gli oggetti è stato un lavoro durato mesi. “Quattromila pezzi in tutto, solo fra quelli identificabili. Quasi la metà ha dimensioni fra 10 e 50 centimetri. La concentrazione maggiore è sul versante siciliano, con un record di 200 rifiuti in 10 metri. Ma l’automobile era di fronte alla costa calabrese“, spiega Martina Pierdomenico, giovane ricercatrice del Cnr. Il 52% della spazzatura è fatto di plastica morbida (sacchetti in primis), il 26% di plastica rigida, il 3% di materiali edili, il 2,5% di legno, il 2,4% di vestiti. Nei giorni di pioggia più intensa, la forza delle fiumare può portare a valle centinaia di migliaia di metri cubi di detriti a velocità anche di 20 metri al secondo.

All’aumentare della profondità, i ricercatori romani hanno visto aumentare anche la concentrazione di spazzatura. E’ lì, sul canyon che corre lungo lo Stretto sotto al mare che probabilmente si concentra il grosso della discarica, davanti le foci delle grandi fiumare presenti lungo la zona sud di Messina. “Così in basso c’è grande stasi e scarsa capacità di recupero ambientale” spiega Francesco Latino Chiocci, professore di geologia marina all’Università La Sapienza. Difficilmente qualcuno o qualcosa interviene mai negli abissi per modificare una situazione. Il freddo, che caratterizza l’acqua a quelle profondità, e il buio rallentano la decomposizione della plastica.