Alfano e l’ennesima parentopoli: un virus letale che uccide il merito e causa danno erariale

Dal mese di marzo non ricevo la posta se non sporadicamente e come me l’intero isolato e centinaia di famiglie in varie zone della città. Pensavo a questo a proposito della parentopoli alfaniana. Voi direte, ma che c’entra il disservizio postale con i parenti di Alfano? Ad un primo sguardo non c’entra niente ma ho imparato che non c’è nulla di scollegato nel mondo reale.

Renzi non ha fatto in tempo a riprendersi dalla batosta dei ballottaggi che nuovamente sono apparse nubi nere sul suo cielo. Le nuvole hanno preso la forma di intercettazioni telefoniche che non hanno valenza sul piano giudiziario ma hanno scatenato polemiche sull’ennesimo caso di parentopoli. Nulla di nuovo sotto il sole italiano, ma la vicenda sta facendo vacillare la poltrona di Angelino Alfano.

Il ministro non è indagato, ma a leggerle si avverte una strana forma di attorcigliamento nello stomaco. Dal fratello Alessandro ai cugini passando per la moglie, i cognati e gli amici, la carriera politica di Angelino si è trasformata in un ufficio di collocamento.

Dalle intercettazioni si scopre che Alessandro Alfano, fratello minore del ministro, grazie all’intervento di uno degli arrestati, Raffaele Pizza, è stato assunto alla Postecom, società del Gruppo Poste Italiane, per 160 mila euro l’anno, esclusi benefit, e se ne lamentava anche perché ne voleva 170 mila. Ironizzando potremmo dire che nel suo caso alle Poste l'assunzione è arrivata per "raccomandata".. Mentre il ministro Alfano gridava alla barbarie per intercettazioni utilizzate solo a scopi mediatici, gli italiani scoprivano, da altre chiacchiere telefoniche, che il padre avrebbe inviato, sempre per assunzioni alle Poste, 80 curricula. La carriera di Alfano junior è costellata di polemiche, ma anche da una straordinaria capacità, che l’interessato mette nero su bianco sul suo curriculum, ovvero quella “ di bruciare le tappe”. Il talento che lo ha portato a “bruciare le tappe” in realtà non lo ha acquisito studiando o faticando per 500 euro al mese, ma porta il suo stesso cognome: Alfano.

Le polemiche sono andate di pari passo con la carriera, così è finito in diverse inchieste, poi archiviate, come quelle relative ad esami comprati all’Università di Palermo e per il concorso da segretario generale alla Camera di Commercio di Trapani. Un mese prima che lui lo vincesse una lettera anonima “indovinò” il suo nome. Il fatto finì in un’inchiesta ma lui nel frattempo si dimise. E’ stato anche consulente del Ministero dell’economia in era Berlusconi. Ma la parentopoli riguarda anche tre cugini (dirigenti Rfi, Bluferries e Arpa), uno stuolo di amici d’infanzia e la moglie, Tiziana Miceli, avvocato, finì lo scorso anno in un articolo de L’Espresso per la sfilza d’incarichi ottenuti dalla Consap, dall’Iacp, dalla Serit attraverso la Rm-Associati.

Le richieste di dimissioni fioccano da ogni parte ma Alfano non ci pensa proprio e per la verità neanche Renzi, che sa che se cade il suo vice, crolla tutto. E’ assai strano che nel 2015, l’allora ministro Maurizio Lupi, (Ncd anche lui) venne cortesemente accompagnato alla porta dal premier per la vicenda del rolex e degli incarichi al figlio Luca mentre adesso la parola d’ordine è “resistere, resistere, resistere”.

Alfano deve anche fare i conti con la fronda interna a Ncd, che vuole voltare le spalle al Pd e ritornare tra le braccia del centro-destra. Chi vuol restare con Renzi non lo fa per presupposti ideologici giacchè ci sarebbe da chiedersi che ci fa uno di centro-destra col centro-sinistra. La risposta è semplice: si chiama “nuovo” centro destra e di nuovo rispetto a mezzo secolo di storia è che questo centro-destra fa da stampella al Pd. Il vento che soffia dopo le amministrative di giugno però non fa dormire sonni tranquilli ai divorziati dal Pdl che oggi si chiedono: salviamo qualche poltrona in più restando con Renzi o tornando nel centro destra a brandelli?

Dubbi amletici che a noi non interessano affatto. Torniamo ai disservizi delle Poste. Se in Italia il cognome sostituisce il merito, la famiglia vale più di una laurea, la raccomandazione è l’unico Master, è ovvio che non funziona niente.

Il danno è doppio: il servizio va allo sfascio ed i migliori vanno via.

Per un raccomandato con un super stipendio ai piani alti ci sono migliaia di precari, con tanto di lauree, che parlano 3 lingue, ma non hanno il cognome giusto, che faticano per pochi euro in strada. I soldi spesi per i raccomandati ai piani alti non si tramutano in un servizio migliore, perché hai messo le persone sbagliate al posto sbagliato. Quei soldi sono sprecati: sono troppi e chi li incassa non migliora l’azienda, ma drena risorse.

E’ così che condanni intere generazioni al precariato e causi un danno erariale inimmaginabile. Nessun imprenditore metterebbe a capo della propria azienda un raccomandato, ma quando di mezzo ci sono i soldi pubblici ecco che nelle sale operatorie del sud ci sono stuoli di figli di luminari, nella cattedre universitarie intere generazioni di “saggi”, nei Cda migliaia di amici e affini che l’unico titolo che possono vantare è la vicinanza al capo. E’ per questo che la sanità del sud fa paura, gli atenei del sud vanno desertificandosi, le nostre città sono le ultime in tutte le classifiche. Messina è figlia di questa concezione amorale.

Ricordo l’entusiasmo della ministra Giannini a febbraio: “sono fiera dei 30 ricercatori italiani premiati in Europa”. Giubilo smorzato dai premiati che lavorano all’estero perché in Italia sono stati scartati per il raccomandato di turno.

Se invece di pensare solo alla propria famiglia chi ci governa cominciasse a pensare anche alle famiglie degli altri, allora avremmo un’altra Italia. Saremmo la Svezia ma con il sole e la granita caffè con panna. E io avrei la posta consegnata ogni giorno.

P.s- Tempo fa finì al centro delle polemiche Barbara Lezzi, senatrice a 5Stelle che, dopo aver vagliato decine di candidature così come chiesto dal movimento, scelse come portaborse la figlia del fidanzato. Si difese dicendo: “è brava”. La vicenda dimostra che il nostro è un “costume” nazionale, un modo di essere, trasversale ai partiti, alle ideologie. Ed è per questo che non saremo mai la Svezia.

Rosaria Brancato