Occupazione femminile sempre pù penalizzata. Crescono le difficoltà per accedere al mondo del lavoro

Nonostante i molteplici passi avanti, la condizione della donna occupata, a livello nazionale, continua ad essere fortemente penalizzata. All’indomani della festa della donna, la FP CGIL ha deciso di proporre un report, frutto di un’analisi Istat.

I dati contenuti nell’ultimo report redatto dall’Istat in merito alla situazione dell’occupazione femminile parlano chiaro, spiegando come sia cambiato l’approccio al mondo del lavoro, dove le donne vi entrano in età più avanzata, proprio nel momento in cui le generazioni precedenti iniziavano ad uscirne. Hanno aspirazioni e istruzione più elevate che in passato e non hanno intenzione di smettere di lavorare in futuro.

Nonostante i cambiamenti della coscienza femminile, le donne si scontrano con una dura realtà. L’occupazione femminile è cresciuta in modo netto dagli anni ’90 al 2008. La maggior parte dei posti di lavoro aggiuntivi dal 1993 sono appartenuti al gentil sesso, ma la gran parte dell’incremento è avvenuto al centro e nord-Italia,(1 milione 471 mila), mentre il sud ha raccolto briciole(222 mila).

L’impennata si arresta nel 2008. Nel biennio successivo, infatti, l’occupazione femminili è diminuita di 103 mila unità ed oggi la situazione è a dir poco precipitata. Ancora oggi, nonostante la spinta delle donne e la crescita numerica nel campo del lavoro, meno della metà delle esponenti del gentil sesso oggi lavora. In Italia le donne si scontrano subito con la dura realtà: molte non entrano nel mercato del lavoro, specie al sud, e se con basso titolo di studio; molte altre vi entrano in ritardo nel mercato del lavoro e trovano problemi anche se sono laureate.

Tra le madri, il 30% interrompe il lavoro per motivi familiari contro il 3% dei padri; 800 mila sono le donne che hanno dichiarato di essere state licenziate n o messe in condizioni di doversi dimettere.

Le interruzioni imposte dal datore di lavoro riguardano più spesso le generazioni più giovani: per queste ultime generazioni, le dimissioni in bianco coincidono quasi con il totale delle interruzioni a seguito della nascita di un figlio, cioè non sono una libera scelta.

Poche le donne nei luoghi decisionali nonostante il merito: imprenditrici 19%; dirigenti 27%; libere professionisti 29%; dirigenti medici di strutture complesse (13,2%); prefetti 20.7%; professori ordinari 18,4%; direttrici di enti ricerca 12%; ambasciatrici 3,8%; nessuna donna ai vertici della magistratura. Nel settore del pubblico impiego Non va meglio per le donne: la componente femminile diminuisce anno dopo anno. Nel 2009 le impiegate nella pubblica amministrazione erano 1.823.000, nel 2011 sono scese a 1.784.000: 40.000 in meno.

Una serie di fattori negativi che finiscono per infrangere i desideri di quante vorrebbero poter affermarsi: stanno più a lungo a casa con i genitori quando vorrebbero uscirne; fanno meno figli; fanno fatica a garantirsi una normalità di vita quotidiana. La quotidianità normalizzata appare sempre più un sogno difficile da raggiungere.

I ritardi con cui una donna riesce a raggiungere il proprio equilibro, incidono però anche sul ruolo complessivo dell’organizzazione societaria: se le donne sono sovraccariche, i servizi sociali scarsi, chi si farà carico dei problemi sul territorio? La situazione delle donne sul mercato del lavoro è peggiorata con la crisi partendo da una situazione già grave. O si ridistribuisce il lavoro di cura tra i generi e nella società sviluppando una rete di servizi ampia e funzionante e forme di lavoro flessibili nell’ottica della conciliazione, facilitando anche la crescita dell’occupazione femminile, o difficilmente potrà esserci futuro per l’occupazione femminile. I nodi del welfare fai da te sono venuti al pettine, è certa la questione della necessità di rifondazione del sistema welfare anche in quest’ottica.