Anche il prete si "calava" davanti al clan di Santa Lucia sopra Contesse

Anche il prete si “calava” davanti al clan di Santa Lucia sopra Contesse

Alessandra Serio

Anche il prete si “calava” davanti al clan di Santa Lucia sopra Contesse

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giovedì 19 Luglio 2018 - 22:54

Dai tavoli d'azzardo della Messina-bene alla gioielleria di centro città finita nelle mani degli usurai, passando per il sacerdote che ha dovuto accontentare gli uomini della famiglia che comanda in zona sud. Ecco i dettagli dell'operazione Polena.

Ai tavoli di carte della Messina-bene si gioca sotto l’occhio vigile del clan di Santa Lucia sopra Contesse.

Lo svela l’inchiesta Polena, sfociata ieri in 8 arresti dei Carabinieri. Agli atti dell’inchiesta, infatti, c’è la vicenda di una giovane molto nota negli ambienti della vita mondana cittadina, finita nei guai per aver perso a poker con uno degli indagati, legato ai Cambria. Mesi dopo la perdita di soli 6 mila euro, la donna ha dovuto pagare ben 10 mila euro in contanti. E pur avendo pagato, non ha mai rivisto il Rolex e l’anello consegnato a titolo di pegno.

Il giudice Maria Militello, che ha disposto gli arresti e che da oggi comincerà ad interrogare quelli che sono già in carcere, scrive nel provvedimento che gli uomini del gruppo organizzavano diverse giocate in case private, e si sedevano ai tavoli da gioco di tutti gli ambienti, anche quelli “alti”.

E’ un clan rispettato, quello di Santa Lucia sopra Contesse, uno dei pochi a Messina i cui vertici non si sono pentiti. “Giacomino” Spartà è in carcere ininterrottamente dal 2003, è al carcere duro da molti anni ma non ha mai scelto la strada della collaborazione con la giustizia. Il fratello Antonio, raccontano i pentiti, a cominciare da Daniele Santovito, gestiva un fiorente giro di cocaina.

Ma da tempo il gruppo oltre che alle estorsioni e alle rapine si era dato all’acquisizione di denaro liquido, attraverso l’usura e attraverso le sale da gioco, dove metteva sotto scacco i giocatori d’azzardo.

Tutti però erano a conoscenza della caratura criminale della famiglia. Dalla donna che ha perso a poker alla gioielliera di centro città che per coprire un grosso debito con le banche si rivolge ad Antonio e Giuseppe Cambria Scimone e sarà costretta a pagare con 4500 euro di interessi il prestito di 4 mila euro.

Tutti sapevano chi erano i Cambria e gli altri uomini di Raimondo Messina, scrivono gli inquirenti. Anche il prete che gestisce una nota casa d’accoglienza cittadina. “no poi si..si è fermato..sai com’è, t’ha calari..”. Così Antonio Cambria Scimone racconta ad un amico come ha risolto il problema della lite sorta tra un suo parente ed un altro ospite della casa d’accoglienza, intervenendo personalmente col sacerdote che voleva trarre le conseguenze della lite tra i due.

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