Gli accorintiani delusi: «Il Piano di Riequilibrio mette sotto scacco la rivoluzione promessa»

18 firme ed un’unica convinzione: la giunta Accorinti ha tradito il sogno della rivoluzione dal basso.

Gino Sturniolo, Nina Lo Presti, Antonio Mazzeo, Tania Poguisch, Clelia Marano, Angela Rizzo, Francesca Fusco, Mariano Massaro, Maurizio Rella, Sergio Soraci, Daniele David, Antonio Currò, Enzo Bertuccelli, Marco Letizia, Santi Bonfiglio, Maria Irrera, Massimo Camarata e Gianmarco Sposito firmano un documento congiunto per prendere, ancora una volta, le distanze dal percorso politico intrapreso dal sindaco Renato Accorinti e dai suoi assessori.

Tra la giunta Accorinti e suoi ex 18 sostenitori – tutti prima linea in campagna elettorale – c’è stato un allontanamento progressivo, che per molti di loro ha portato ad strappo definitivo sul piano di riequilibrio. E proprio la manovra finanziaria è al centro della lunga nota, con un’attenzione particolare all’aspetto politico.

«La discussione pubblica sul Piano di Riequilibrio del Comune di Messina è occupata quasi esclusivamente dai suoi aspetti contabili e normativi. Inspiegabilmente – scrivono gli accorintianii delusi – ne vengono lasciati in disparte, un po’ da tutti, gli aspetti politici e sociali. Eppure questi non sono meno importanti dei primi, anzi li presuppongono, se è vero che sono politiche e politico-economiche le ragioni che ci hanno condotto a dovere affrontare questi temi con tanta drammaticità e con la sensazione, ormai condivisa da molti, di essere di fronte ad una sorta di ultima spiaggia, ad un passaggio epocale, ad un “redde rationem”, cui non si può sfuggire, che chiama in causa tutti».

I consiglieri comunali Lo Presti e Sturniolo, l’ex esperta Clelia Marano, i sindacalisti Massaro, Fusco e David e tutti gli altri firmatari sottolineano come «oggi il debito, prima nascosto, sta riemergendo» e spiegano: «sta riemergendo il debito delle partecipate, sta riemergendo il debito legato al ciclo dei rifiuti, sta riemergendo il debito legato al sistema degli appalti e dei commissariamenti. Questa enorme massa debitoria distribuita negli enti pubblici è stata ulteriormente accresciuta dalla progressiva riduzione dei trasferimenti dallo stato agli enti locali (il cui peso è stato in parte mitigato per i bilanci comunali dall’obbligo di far pagare per intero ai cittadini una serie di servizi, cosa che ha aggravato ancor di più il grado di incapienza di tante famiglie). L’insieme di questi fattori ci si presenta di fronte con la forma di un macigno da sollevare come destino ineluttabile».

Secondo i 18 firmatari, nei prossimi 10 anni, si assisterà inevitabilmente ad « aumenti delle tariffe e riduzione progressiva dei servizi, penuria monetaria e bilanci pubblici recessivi. Il piano di riequilibrio ha il carattere delle sanatoria e del riconoscimento delle politiche che ci hanno condotto fino a questo punto»

Il Piano di Riequilibrio viene definito nel documento degli ex acccorintiani come «un percorso condiviso di pacificazione tra quellicheceranoprima e quellidiadesso».

I 18 firmatari, quindi, non hanno dubbi: « il Piano di Riequilibrio mette sotto scacco la rivoluzione promessa. Ancora più, forse, delle misure recessive e antipopolari, è la subalternità politica che compromette ogni possibilità di cambiamento (per quelle parti, naturalmente, del soggetto attuatore del Piano di Riequilibrio che hanno pensato e pensano ad un cambiamento reale, dal basso come si diceva una volta)».

Secondo Sturniolo&C la riviluzione è rimasta nelle parole e nelle promesse della campagna elettorale, perché «il vero atto propedeutico ad una politica di cambiamento sarebbe stato liberarsi dall’obbligo del risanamento».

Per gli accorintinai della prima ora ormai delusi «questo avrebbe significato togliere, di colpo, a tutti la possibilità di qualsiasi forma di ricatto politico. Sarebbe stato giusto lasciare a chi responsabile è la responsabilità di affrontare gli indignati dalle politiche dell’austerità e, magari, con questi provare, amministrando, a costruire un futuro più giusto! Si sarebbe potuto, così, lasciare il passato a rendere conto, politicamente, di quanto causato e abbracciare un presente nuovo capace di inventare, per il tempo a disposizione, un’alternativa vera. Quel tempo sarebbe rimasto nella storia della nostra città». (DLT)