Augusta o Gioia Tauro cambia poco. Il problema è perdere la sede e l’autonomia economica e gestionale

Le nuove Autorità di Sistema Portuale dovranno occuparsi dei Piani regolatori portuali, dei piani operativi triennali, della pianificazione infrastrutturale e delle concessioni portuali più importanti. Ci sarà un Comitato di gestione composto da appena cinque elementi: un presidente e altri quattro membri nominati, uno ciascuno, dalla Regione e dai sindaci delle città componenti. Nelle città che perderanno la sede, ci sarà un direttore che parteciperà al Comitato ma senza diritto di voto. Le attività verranno coordinate da un segretario generale dalla città sede dell’Autorità di Sistema e i bilanci non saranno distinti.

Chiarito il quadro generale della riforma, si capisce che per Messina il problema non è se finire “sotto” Augusta o Gioia Tauro, ma quello di perdere la sede e, di conseguenza, l’autonomia gestionale e dei fondi. Vuol dire che il futuro della Zona Falcata, del quartiere fieristico e di tanto altro ancora verrebbe deciso ad Augusta o a Gioia Tauro e non a Messina. E si parla dell’unico ente che ha a disposizione un attivo di decine di milioni da impegnare sul territorio e che, difatti, ha già deliberato il cofinanziamento delle infrastrutture fondamentali per il futuro della città, come il porto di Tremestieri e la nuova via don Blasco.

Le casse delle altre Authority non sono così floride ed il rischio è che questi fondi, invece che per le infrastrutture messinesi, possano servire per lo sviluppo del porto di Augusta o indirettamente per la cassa integrazione dei lavoratori del porto di Gioia Tauro. Appena tre giorni fa i sindacati calabresi, che già in ottobre parlavano di “situazione drammatica”, hanno proclamato lo stato di agitazione e ieri hanno anche bloccato per alcune ore gli imbarchi di Villa San Giovanni. Il porto di Gioia Tauro, dov’è forte l’influenza delle cosche, nonostante mantenga il primato italiano per movimentazione contenitori, pur se insidiato da Genova, registra un crollo del 13,2 % rispetto allo scorso anno e ancora più alto negli ultimi tre mesi: dai 32-35mila pezzi di inizio luglio si è arrivati ai 20mila di oggi. Insomma i conti e le prospettive non sono rosee, né è chiaro perché un’unione con Messina, che comunque in Calabria non vogliono, dovrebbe cambiare le cose.

Piuttosto è chiaro che la politica messinese ha fallito ancora una volta non riuscendo ad avere assegnata la qualifica di porto core, vale a dire considerato dalla Commissione europea uno snodo intermodale. Se per Gioia Tauro era un riconoscimento quasi d’obbligo, non altrettanto per Augusta, che ha saputo muoversi bene mentre a Messina si “dormiva”. Figurarsi, poi, se si riusciva a creare una vera Autorità Portuale dello Stretto, con Messina, Milazzo, Villa e Reggio, ma senza Gioia Tauro, che è realtà del tutto diversa dalle altre ed ha saputo mantenere l’autonomia. Hanno centrato l’obiettivo anche Civitavecchia (pur non essendo porto core, anche se è in pratica il porto di Roma), Ancona, Ravenna, Venezia e Trieste, tutti porti del centro nord, mentre al sud porti importanti come Napoli e Salerno o come Taranto e Bari o come, appunto, Messina e Augusta, devono accontentarsi di un’unica sede condivisa.

Ha ragione il presidente dell’Assemblea regionale, Giovanni Ardizzone, quando dice che, ancora una volta, anche questa riforma favorisce il nord Italia a scapito del sud. Il dubbio, però, resta sulla competitività di un asse Gioia Tauro-Messina e, soprattutto, sulla perdita di una sede che è molto più importante di quanto si voglia far credere. Messina ha i numeri per essere la sede dell’Autorità di Sistema della Sicilia Orientale. Peccato che, a meno di improbabili stravolgimenti, perderà anche il suo ente più florido. L’ennesima sconfitta di una città che continua a perdere pezzi ed è quasi sempre al centro di tutti i piani di ridimensionamento.

(Marco Ipsale)