L’ingegner Santoro: “Attenti ad un sistema che mira alla gestione politica del rischio sismico”

La sentenza dell’Aquila che condanna la Commissione grandi rischi della protezione civile, impone una profonda riflessione in tutti coloro che, dalle Istituzioni, continuano a sottovalutare il rischio sismico.

La sentenza dell’Aquila segna una linea di cesura tra il modo adottato fino ad oggi dalle Istituzioni di protezione civile per valutare i diversi rischi esistenti (sismico, idrogeologico, industriale, etc.) rispetto ed una più efficace prevenzione dei rischi che coinvolga e renda partecipi le popolazioni che vivono nei territori ad elevata pericolosità.

La valutazione del rischio non deve mai più essere dettata da logiche di potere in cui spesso, negli ultimi dieci anni è rimasta invischiata la parte peggiore della protezione civile nazionale

La parte migliore e silenziosa di tale istituzione, il mondo del volontariato di protezione civile, devono invece sentirsi spronati ed incoraggiati da una tale sentenza. Chi ha operato solo per il bene comune, per una efficace prevenzione dei rischi, coloro che hanno rischiato la propria vita per salvare vite umane oggi devono essere premiati.

Senza entrare nel merito della sentenza di cui si attende la lettura delle motivazioni, un dato lampante appare da subito.

Per i fatti dell’Aquila e’ stata condannata la supponenza, l’approssimazione, l’ignavia, la sudditanza ad un potere politico che, in spregio alla vita della gente, ha liquidato, per bocca di rappresentanti dello Stato, con poche parole, l’angoscia, la paura, l’ansia, il timore dell’intero popolo aquilano che da mesi conviveva con un terremoto, cupo, costante, devastante negli animi, già prima del 6 aprile 2009, notte della tragedia.

La notizia in sé è lapidaria. Omicidio colposo a chi, appartenente a vario titolo alle Istituzioni (consulenti privati, professionisti, docenti universitari, dirigenti e funzionari di pubbliche amministrazioni) ha causato, con le proprie supposizioni, un mancato allertamento della popolazione dell’Aquila prima della scossa fatale del 6 aprile 2009.

Il vero monito alle istituzioni di protezione civile quindi è: far prendere coscienza dei rischi esistenti le popolazioni esposte. Fornire risposte certe su comportamenti da tenere ed azioni da compiere per scongiurare gli effetti di venti sismici che, comunque rimangono imprevedibili nel lasso di tempo breve ma pur sempre efficacemente prevenibili negli effetti.

La sentenza fa di più però. Demolisce un sistema di protezione civile che, sostanzialmente, dal sisma del Molise in poi, ha inteso, da una parte, sfruttare la presenza di una maggiore pericolosità sismica per ottenere risorse finanziarie e dall’altra, a sisma avvenuto, gestire impunemente risorse finanziarie per le ricostruzioni.

Andiamo per ordine.

Il sistema che oggi la sentenza sgretola colpisce chi, dopo il sisma del Molise del 2002, ha dirottato ingenti risorse finanziarie apparentemente finalizzate alla prevenzione del rischio sismico, verso interessi mirati ad una gestione politica del rischio sismico.

Ecco così apparire in Italia mappe che riducono la pericolosità sismica in Regioni non allineate ai governi dell’epoca (Emilia Romagna, Abruzzo). Incrementano, apparentemente con modalità inspiegabili ma raffinatamente giustificate da eminenti scienziati di regime, la pericolosità sismica in Regioni invece allineate con i governi allora in carica (Lombardia, Veneto).

Per avere chiara la questione che qui si rileva basta osservare le carte di pericolosità sismica oggi vigenti, pubblicate su gazzetta ufficiale confrontandole con quelle, meno criptiche ma più coerenti, e vigenti in precedenza messe a punto dalle regioni.

Le stesse mappe, oggi in vigore, che, rimanendo in tema di risorse per la prevenzione, riducono la pericolosità sismica dell’area del Belice in Sicilia, non più meritevole di attenzione per la prevenzione di futuri terremoti.

Andiamo al secondo punto. La sentenza colpisce il sistema di protezione civile che ha gestito e continua a farlo, le risorse finanziarie connesse alle ricostruzioni dei territori colpiti.

Le New Town in Abruzzo, rifiutate dagli Emiliani e subite dagli Aquilani, le risorse finanziarie per studi, consulenze, progetti faraonici che sono servite soltanto a stornare somme dalle vere necessità delle popolazioni colpite.

Attenzione, il sistema che si stà descrivendo e che oggi subisce, con la sentenza dell’Aquila, una battuta di arresto, è lo stesso che gestisce tutte le ricostruzioni, anche quelle conseguenti agli eventi idrogeologici oltre che sismici.

Su quel solco purtroppo si sono mosse anche le istituzioni regionali, tanto per non andare lontano, quando, dopo il 2007 e gli eventi idrogeologici che colpirono il litorale jonico della provincia di Messina, non si attivarono per una “efficace prevenzione del rischio”, la stessa accusa che oggi condanna all’Aquila la commissione grandi rischi.

Finchè non vi erano risorse finanziarie da gestire, il grido di allarme delle popolazioni colpite dagli eventi del 2007 è rimasto inascoltato.

A quando un’analoga sentenza per l’annunciato disastro di Scaletta e Giampilieri del 2009, mai efficacemente prevenuto dalle stesse Istituzioni che poi hanno gestito la ricostruzione ?

Ing. Leonardo Santoro

Già Dirigente Servizio Sismico Regionale