Chi propaganda “bufale” corre il rischio di subirne i danni

Tra i tanti problemi che affliggono la società moderna – almeno quella liberal-democratica, nella quale le notizie circolano liberamente –, uno dei più gravi è la difficoltà che un cittadino “normale” trova nel farsi un’idea obiettiva della realtà che lo circonda.
In particolare, capita abbastanza spesso di essere raggiunti da informazioni false – poco importa, ai fini della nostra riflessione, se ciò sia voluto o meno – e gli studiosi concordano che esse restano attaccate alle nostre menti, influenzando comportamenti e scelte. E’ un fenomeno al quale assistiamo quotidianamente da tempo: si prende come vera l’affermazione fatta da qualcuno e la si accantona in un angolo del cervello senza più metterla in discussione. Anche se viene poi smentita dai fatti. Stephan Lewandowsky, accademico australiano – viva la ricerca “libera”! – ha pubblicato sulla rivista Psycological Science in the Public Interest un’interessante studio, ripreso da Corrado Di Diodoro sul Corriere della sera col significativo titolo: Perché non cambiamo idea sulle peggiori “bufale”.
Lewandowsky afferma che la principale ragione del successo di una sciocchezza è che respingerla richiede motivazioni e faticose conoscenze aggiuntive. Leggendolo, non ho potuto fare a meno di pensare alle baggianate che, in questa strana città, sono riproposte sotto forma di dogmi di fede ogni volta che si parla di Ponte. Foss’anche tra le pieghe dell’annuncio dell’ennesimo funerale.
Per non annoiare, mi limito a un paio di esse, sottolineando ancora una volta che si può essere benissimo contrari al Ponte, a patto che se ne ammettano le vere ragioni – spesso personalissime – con onestà intellettuale, senza nascondersi dietro pretestuose ostentazioni di inconsistenti conoscenze tecnico scientifiche. Diceva Moliére che uno sciocco colto è più sciocco di uno sciocco ignorante.
La prima è quella della infattibilità dell’opera. Ora, a parte le decine e decine di tecnici, scienziati e organismi di fama internazionale – tutti incapaci o venduti? – che ne hanno sottoscritto il progetto (e, quindi, la fattibilità), l’obiezione che andava per la maggiore era quella avanzata dal prof. Federico Mazzolani, dell’Università di Napoli. L’ho ascoltata dalla sua viva voce: poiché l’aumento delle dimensioni delle grandi infrastrutture – grattacieli, dighe o ponti che siano -, negli ultimi 150 anni è cresciuto a piccoli passi, è estremamente probabile che la prossima realizzazione non possa superare la precedente più di un 10-15%.
Applicato ai ponti, questo assioma si traduce nell’impossibilità di tenere in piedi una campata più lunga di 2,2-2,3 km. Il più lungo ponte sospeso oggi esistente è, infatti, quasi 2 km.
Ebbene, nel 2010 in Dubai, è stato inaugurato un grattacielo alto 828 metri, il 62% in più del Taipei 101 che, con i suoi 509 metri, deteneva il vecchio record.
Ciò prova che l’affermazione del prof. Mazzolani e dei suoi adepti era semplicemente … sbagliata. Può capitare.
Però, non si può che restare perplessi nel constatare che vi è ancora qualcuno che utilizza l’argomento.
Secondo lo studio citato in premessa, la ragione deriva dal fatto che l’informazione (falsa) gli “fa comodo”, in quanto concorda con l’immagine della realtà che ha sposato. E, aggiungerei io – che, a differenza di Lewandowsky, conosco la realtà italiana – soddisfa la sua netta divisione del mondo in Buoni e Cattivi; dopo essersi iscritto, di diritto, tra i primi.
Il secondo esempio mi pare ancora più evidente in quanto la contestazione deriva da una controanalisi molto accurata degli studi di sostenibilità economica fatti dalla Stretto di Messina. In altre parole, il Ponte non si deve fare perché “non conviene”.
Che poi a ragionare così siano coloro che hanno sempre considerato l’utile economico sterco del diavolo, appare un po’ contraddittorio; ma si sa che à la guerre comme à la guerre.
In ogni caso,è una teoria che ha avuto grande risalto sui media locali e nazionali. Mi chiedo perché, visto che è, a mio parere, palesemente inconsistente. Fin qui nulla di male: un’opinione contro un’altra. L’elemento anomalo è che sia l’autore che i sostenitori vanno oltre, aggiungendovi corollari quantomeno azzardati sulla validità del progetto definitivo e sulla correttezza del General Contractor. Con l’inevitabile conseguenza che qualcuno ha fatto da capro espiatorio per tutti e si è buscato una querela. Preludio di una pesantissima richiesta di danni.
Valeva la pena spingersi a tanto? Lewandowsky sostiene che la bufala diventa profondo convincimento quando è coerente con le nostre preesistenti convinzioni politiche, religiose o sociali. A causa di ciò, ideologie e personali visioni del mondo possono essere ostacoli particolarmente difficili da superare.