Non appena viene annunciato un passo avanti nell’interminabile percorso di realizzazione del Ponte di Messina, capita di ascoltare o leggere il risoluto parere di qualche opinion maker (autorevole o presunto tale) che addita l’opera quale emblema dello spreco di denaro pubblico.
Come se un riflesso pavloviano si sia impadronito di politici, economisti, giornalisti, geologi, arredatori d’interni e ballerini di flamenco che gravitano in un’area che si autodefinisce progressista.
Sembra diventato un luogo comune: tutte le altre infrastrutture in programma sono indispensabili – o, quanto meno, accettabili -, mentre la cancellazione dell’opera che porta il nome della nostra città rappresenta un decisivo passo avanti nel superamento delle crisi che attanagliano periodicamente il nostro Paese e l’intero mondo occidentale.
Le varie Pedemontane, il Mose, l’ampliamento del Grande Raccordo Anulare, i nuovi Trafori del Frejus e del Brennero, la nuova Romea, l’asse viario Cecina-Civitavecchia, i nodi autostradali di Genova, Napoli e Bari, le Metropolitane di Roma e Bologna, il Terzo Valico dei Giovi e così via trovano, al massimo, un’opposizione locale. Quella sul Ponte appare una condanna generalizzata che gode di un consenso trasversale, soprattutto negli ambienti della pingue borghesia radical-chic, assidua frequentatrice dei talk-show televisivi.
La TAV – che, per dimensioni e costi, è certamente maggiore del Ponte – ha invece l’approvazione di quasi tutti i partiti e della maggioranza dei benpensanti nostrani, Grillini esclusi.
L’argomento principe che convince tecnici, politici e cantanti di ogni schieramento è che , se il Corridoio 5 Lisbona-Kiev passasse a Nord della catena alpina, i grandi flussi di traffico Est-Ovest emarginerebbero drammaticamente la Padania, con grave danno per tutto il Paese.
Già nel 1990 la Stampa ammoniva che “senza la TAV, il Piemonte è fuori dall’Europa”.
Ancor oggi un’altra autorevolissima testata (L’Espresso) sottolinea l’utilità di “arrivare più velocemente in Germania … o ai porti di Rotterdam, Amburgo e Anversa” dai quali “passano le merci da e verso la Cina (!!!) e gli altri mercati emergenti (!!!), che privilegiano la Svizzera o il Brennero se devono scaricare in Italia”.
Sarà certamente tutto sacrosanto: non tocca a noi, meridionali ignoranti e infingardi, evasori e accattoni, mettere in dubbio questi sacri principi di macroeconomia applicata.
E’ più che legittimo puntare sulla possibilità di intervenire su materie prime e semilavorati che transitano dal nostro territorio: la PMI (Piccola e Media Industria), asse portante dell’economia italiana, trova ragione di vita proprio nella trasformazione di questi materiali.
Se passassero a Nord delle Alpi perderebbe buona parte della sua competitività.
Basta però una leggera infarinatura di geografia per chiedersi perché media, politici, giuristi, conduttori televisivi e attori di fotoromanzi e concordino (legittimamente) su questa necessità mentre ironizzano sul Ponte di Messina, indispensabile per completare Corridoio 1 tra Salerno e Palermo.
Non è forse vero che si prevede la crescita esponenziale dei commerci tra l’Africa e l’Europa?
E le gigantesche navi che vengono dall’Oriente e passano per Suez, centinaia o migliaia di miglia prima di qualsiasi altro porto europeo, trovano ad intralciare la rotta, un vecchio isolotto chiamato Sicilia?
Se è così, ed è così, riesce difficile comprendere perché la captazione dei flussi mercantili Est-Ovest sia unanimemente ritenuta indispensabile per sostenere l’economia padana – e ben venga! -, mentre le merci provenienti dall’Africa o da Suez possono impunemente essere sbarcate in Spagna, Francia, Grecia e Genova. O nientemeno che a Rotterdam.
E’ banale che, senza l’adeguamento della ferrovia e senza Ponte, la Calabria e (soprattutto) la Sicilia resteranno fuori dall’Europa come e più del Piemonte senza la TAV.
Non c’è nulla di male a non volere le colossali opere che violentano il paesaggio e costano una barca di quattrini ma, senza di esse, muore parte dell’economia meridionale – la chiusura della Fiat di Termini Imerese, della Rodriquez, della Smeb, della Birra Messina, etc non ha insegnato nulla? – e bisognerà attendere che un altro paio di milioni di Siciliani facciano le valigie per consentire a coloro che resteranno di vivere di turismo e di qualche produzione agricola residua.
Però, ammettiamolo, oggi essere contro il Ponte è molto più chic!
Soprattutto se si vive al di sopra di Napoli.