“Pathei mathos”, una riflessione sulla tragedia greca e sul senso della giustizia

“Pathei mathos”, una riflessione sulla tragedia greca e sul senso della giustizia

Tosi Siragusa

“Pathei mathos”, una riflessione sulla tragedia greca e sul senso della giustizia

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sabato 10 Ottobre 2015 - 22:12

La saggezza si conquista attraverso la sofferenza: riflessioni sui temi della giustizia e della colpa in occasione della rappresentazione andata in scena al Teatro Greco di Tindari

Al Teatro Antico di di Tindari si è tenuta una seconda rappresentazione di “Pathei mathos”, impermeata sulla pena, attingendo all’ “Orestea” di Eschilo e a “Delitto e Castigo” di Dostoevskij. L’intitolazione “patire e sapere” rimanda a formula greca, che si presta a più interpretazioni, fra le quali sembra preferibile la seguente “La saggezza si conquista attraverso la sofferenza”. In scena i giovani dell’Istituto Salesiano Ranchibile di Palermo, della Compagnia teatrale “Volti dal Kaos”, guidati da Giampaolo Bellanca e i detenuti del Laboratorio teatrale dell’Istituto Penitenziario “Ucciardone” di Palermo, condotto da Lollo Franco, drammaturgo e regista, con supervisione dei testi di Salvatore Nicosia.
L’evento si è inserito nel solco del Convegno “Senso e futuro della pena”, nel quarantennale dell’ordinamento penitenziario, nell’anno del verdetto di Strasburgo e degli Stati generali dell’esecuzione penale e nella prospettiva del giubileo dei carcerati. Lo spettacolo consta di due parti integrate: la prima è un monologo, che si immagina recitato da Eschilo, morto a Gela, in Sicilia, ove è messa in luce la propria funzione di combattente e di uomo di teatro, che non sono disgiunte.
La seconda è una contaminazione fra l’“Orestea”, trilogia eschiliana – unica giunta per intero di tutto il teatro greco – e “Delitto e Castigo”, opere solo apparentemente distanti, ma provviste di una moderna sostanza – il delitto produce un castigo … quali le forme?
Testi dunque molto vicini, pur se non temporalmente, poiché la tragedia greca affonda le proprie radici nelle fondamenta dell’esistenza ed è ancora profondamente attuale come fosse moderna … e quella eschilea, primordiale, è sì arcaica, ma possiede intensità e tensione massima. Entrambe le opere affrontano questo nodo fondamentale con forza semantica a distanza di secoli.
Oggi le rappresentazioni delle tragedie greche sono “arbitrarie”, per così dire, atteso che ai nostri tempi si sono perse le loro forme originarie di parole, musiche e coreografie. Eschilo era, invece, un autore totale … oggi sono giunte a noi solo le parole, ma il Coro, ai tempi, danzava e cantava. La radice della tragedia è all’interno del potere religioso e nasce da “accordi” fra il potere temporale e quello religioso stesso. Nella tragedia greca la città partecipava alla rappresentazione, che era un rito a carattere religioso-educativo, per “toccare” le coscienze dei cittadini … in quelle occasioni peraltro i governi ricevevano contributi ed i detenuti erano liberati, con garanzia che non fuggissero.
Il teatro era all’epoca l’agone di Dioniso, ma dopo 2500 anni l’Orestea può essere ancora (e sempre lo sarà) rappresentata, essendo storicamente radicata, per cui anche una odierna rielaborazione, come “Pathei mathos”, può essere valida, purché mantenga intatto l’antico senso. Tornando alla prima parte, si immagina l’ultimo giorno di vita di Eschilo, nella Gela ricca di grano dell’Antica Sichelia, città di tiranni, ma anche di riti religiosi, ove accaddero eventi miseri e grandiosi … ecco dunque questa sintesi della sua esistenza, perché ne resti memoria … quando la morte interrompe il filo filante della Parca, se ne precisa il senso … ecco Eschilo che detta epigrammi, partecipa alle battaglie di Maratona, Salamina e Platea contro i Persiani … Erodoto ha descritto la battaglia di Maratona, ove Temistocle esaltò alla vittoria, che generò però molti morti, fra cui il fratello di Eschilo.
Serse, il figlio di Dario, che aveva l’ambizione di vendicarlo, fu sconfitto a Salamina, pur se a Termopoli i trecento soldati di Leonida si erano sacrificati … La tragedia “I Persiani” è ambientata nella gloria trionfale delle città greche, ma è anche tragedia dei Persiani e dello sconfitto Serse e delle ansie e sofferenze dei vinti. Eschilo nelle tragedie ricoprì anche il ruolo di attore, ad esempio per interpretare Clitennestra.
L’etimologia della parola è dal greco ipocrita, un attore rende al meglio quanto più riesce ad essere “ipocrita”.
Le tragedie della trilogia “Orestea” trattano della mitica famiglia degli Atridi, segnata da delitti e punizioni, da Tantalo ed il supplizio inflittogli dagli dei per aver imbandito alle loro tavole il proprio figlio, ad Atreo e Tieste, fratelli che si odiarono, generando terribili azioni, fino ad Agamennone e Menelao, figli di Atreo e la guerra contro Troia, che causò il sacrificio della principessa Ifigenia per placare i cattivi auspici … Clitennestra e l’amante, il cugino Egisto, meditarono la vendetta uccidendo Agamennone ritornato ad Argo vittorioso dalle spedizioni militari con la schiava Cassandra e, infine, gi amanti contaminati vennero assassinati dal giovane Oreste sotto false spoglie con il conforto morale di Elettra, per vendicare l’assassinio del padre … dopo il suo ritorno sulla tomba paterna per i sacrifici e l’incontro con la sorella fra le Coefore.
Sconvolto dall’evento e perseguitato dalle Erinni, Oreste si rifugiò a Delfi (da Apollo che l’aveva ridotto al delitto di chi l’aveva partorito) in cerca di salvezza.
Nella tragedia conclusiva (Le Eumenidi) si sarebbe potuto far sì, come fin lì accaduto, che la divinità desse la risoluzione (deus ex machina) ma Eschilo per interrompere la catena interminabile di sangue, secondo cui l’antica colpa genera colpa, pone le basi per l’introduzione dell’Areopago, scrivendo di un tribunale per far giudicare Oreste … il giudizio è sottratto dunque alla divinità, con riconoscimento della responsabilità individuale, attraverso l’istituzione dello strumento atto alla risoluzione dei delitti di sangue …. Le Erinni rappresentano l’accusa, Apollo la difesa, Atena presiede il tribunale e impone la regola secondo cui la parità nei giudizi vada intesa a favore dell’imputato (il c.d. “favor rei” dei nostri giorni).
Oreste ottiene un verdetto che comporta una sua responsabilità per gli atti compiuti (non c’è più un verdetto senza giustizia) e ciò comporta una rivoluzione, imponendosi, rispetto alla giustizia vendicativa, una nuova Giustizia imparziale, da Zeus, il Giusto …
Le Erinni si trasformano in Eumenidi.
I politicanti erano contrari all’Areopago, ma Eschilo ebbe un ruolo fondamentale nell’istituzione, prendendo parte attiva al dibattito politico; gli aeropagiti, per sottolineare l’importanza del giudizio, venivano invitati a guardare l’accusato prima di esprimere il verdetto. Eccezionali le Erinni e loro danze macabre, Cassandra la preveggente e Elettra, meno Agamennone, Clitennestra e Oreste (poco convincenti), così come il coro … in ogni caso si è trattato di una pregevole rappresentazione, che ha avuto il pregio di porre l’attenzione sulla tematica della pena, centrale anche nel romanzo di Dostoevskij, ottimamente messo in scena nella sua essenza, in contraltare con la trilogia … l’uccisore della vecchia usuraia Alena Ivanovna e della sua sorellastra Elisabetta è sotto osservazione del commissario che ha compreso le ragioni del delitto e sa che l’assassino addiverrà a confessione … così sarà pur se Rodja Raskolnikoff sostiene di aver ucciso un pidocchio e prima aveva enunciato la sua teoria secondo cui gli uomini ordinari non possono violare la legge, quelli straordinari sì e la seconda categoria è destinata all’avvenire perché si pone al di sopra delle leggi della morale … bello il suo rapporto con la prostituta Sonia, commovente mentre legge l’episodio di Lazzaro … Eccellente ogni interpretazione. Sia nell’Orestea che nel romanzo russo ci si dibatte nel gorgo del dolore e della colpa, pur se in entrambe si scopre l’affermarsi, in senso diverso, di una legge di superiore giustizia.
C’è sempre una punizione, mirante a ristabilire l’equilibrio spezzato con atto umano volontario con l’arroganza… la volontà umana è libera e l’eredità della colpa, pur presente in Eschilo, non dispensa dalla personale responsabilità.
E così, se ai nostri tempi si è concordi sulla stretta correlazione tra responsabilità e pena, molta strada resta da fare per addivenire ad una pena umana, giusta, temporanea e costruttiva, cioè tendente funzionalmente al recupero sociale dei condannati, per preservare “in primis” la dignità umana, che non si acquista per meriti, né si può perdere per demeriti, o ledere fino a far degradare l’individuo a suddito.

Tosi Siragusa

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