Politica

Risanamento finanziario di Messina. Sturniolo e gli “equivoci” di De Luca

L’ex consigliere comunale Luigi Sturniolo torna a parlare e l’argomento è il risanamento finanziario della città di Messina, di cui si è dibattuto recentemente dopo la relazione sul triennio dell’amministrazione De Luca. “La narrazione autocelebrativa di Cateno De Luca”, spiega Sturniolo, “è fondata in larga misura sui successi della sua politica di risanamento finanziario del Comune di Messina. Il risanamento finanziario è, però, a sua volta autocertificato da un diluvio di parole, dette e scritte attraverso le 1500 pagine della sua relazione annuale, talmente consistente da intimidire chi volesse ingaggiarne una lettura critica”. Il politico però sottolinea anche che mettere a disposizione un così grande flusso di dati può offrire la possibilità di indagare sull’attività svolta.

Il “primo equivoco” di De Luca

E proprio da questo studio “curioso”, Sturniolo ricava quello che definisce “un primo equivoco” che “viene dall’accostamento che De Luca fa spesso tra il carteggio intrattenuto con la Commissione ministeriale chiamata a valutare il piano di riequilibrio e la Corte dei Conti e la sua valutazione della riduzione della massa debitoria ad un terzo della cifra iniziale. In realtà, il giudizio positivo rilasciato dalla Commissione e quello che si attende dalla Corte dei Conti si riferiscono al Piano del 23 novembre 2018 che ammonta a 552 milioni, 209mila e 432,29 euro (lo stesso De Luca rinvenne 35 milioni di euro di debiti in più rispetto a quello di Accorinti precedentemente approvato), non alla sua presunta riduzione a 140 milioni o meno ancora”.

La seconda questione analizzata dall’ex consigliere

Nella sua lunga nota, Sturniolo analizza anche una seconda questione: “la cancellazione dal Piano di Riequilibrio delle perdite e dei debiti fuori bilancio delle società partecipate”. L’ex consigliere spiega che il motivo di questa sottrazione deriva da divieto per legge di “soccorso finanziario da parte del socio (se non ben motivato) delle partecipate fallite o in liquidazione. Le società, cioè, dovranno rispondere ai creditori con il proprio patrimonio. La domanda è: cosa accadrà quando questo risulterà insufficiente? I creditori che adesso aggrediscono la curatela fallimentare aggrediranno il socio proprietario? E l’ente dovrà o no rispondere di un andamento fallimentare che avveniva sotto il suo controllo? Ultima domanda: è possibile cancellare quei debiti e quelle perdite senza appostare un fondo per il contenzioso?”

“Questo discorso vale 134 milioni”, insiste Sturniolo, “ma consente, poi, di fare operazioni come ridurre anche il fondo rischi e permettersi di non usufruire del fondo di rotazione che servono a svuotare il Piano, ma non sono una riduzione dei debiti”. Sturniolo poi parla del riaccertamento dei residui del piano, da pagare in bilancio, e della rateizzazione in 13 rate del debito fuori bilancio (“che non vuol dire fare sparire il debito”), anche questo da inserire nel bilancio. Poi, però, spiega anche che “di sicuro c’è che De Luca ha fatto transazioni al 50% per 30 milioni di euro e per 3 milioni ha scoperto che non avrebbe dovuto pagarli. Insomma, il risparmio sicuro ammonta a 18 milioni, 390mila, 835,30 euro”.

Le conclusioni di Sturniolo

“La sensazione”, conclude Sturniolo, “è che si tenda a equiparare lo svuotamento del Piano di Riequilibrio con la riduzione della massa debitoria cui l’ente dovrà fare fronte e questo può ingenerare speranze di risanamento non così certe e farci scoprire domani che alla fine la situazione non sia poi cambiata così tanto. D’altronde, è una tendenza che ha finito per contagiare tutte le amministrazioni che vivono il dissesto finanziario come un marchio d’infamia. Succede così che il fallimento del bilancio pubblico venga equiparato al fallimento della città. Ma non è così. Il dissesto finanziario di un ente pubblico è il fallimento delle politiche governative (nazionali, regionali e locali). La città non c’entra nulla. I cittadini, semplicemente, lo subiscono e non cambia nulla che l’ente si trovi in dissesto o predissesto. Conta il fatto che non ha i soldi per fornire i servizi più essenziali che sarebbe chiamato a garantire”.