“Land of Mine – Sotto la sabbia”, vittime e carnefici

Nella terra danese un migliaio di prigionieri tedeschi furono mandati a morte per bonificare la spiaggia. “Land of Mine – Sotto la sabbia” molto applaudito, giustamente, al Festival di Toronto, tratta di questa brutta pagina e del rischio che le vittime si facciano carnefici e il perdono rimanga utopico.

All'indomani della caduta della Germania, il sergente Rasmussen deve governare un gruppo di 14 prigionieri tedeschi, per lo più adolescenti, fra i 15 e i 18 anni, costituenti l'ultima leva del morente esercito nazista,assoldati per sminare le spiagge del litorale scandinavo ove, per l'erronea supposizione che lo sbarco alleato del 1944 avrebbe lì avuto luogo, l'occupante tedesco aveva concentrato un numero di mine pari a quelle disseminate nel resto dell'intera Europa. Si consuma dunque da parte delle autorità danesi, violazione, su autorizzazione britannica, della Convenzione di Ginevra, che proibiva l'utilizzo dei prigionieri di guerra per lavori forzati. Il periodo di rimozione delle mine durò da maggio a ottobre 1945. L'impiego in questa missione, nei fatti omicida, per mancanza di esperienza e addestramento, in uno con il durissimo trattamento ben al di sotto della sopravvivenza, si risolse in una carneficina e quegli schiavi, arruolati all'ultimo dal Reich già morente, in gran parte non tornarono più in Germania. Gli impauriti ragazzi, risulta infatti subito chiaro, come siano destinati ad un impietoso destino e quanto il vagheggiato ritorno a casa costituisca solo un miraggio per i più.

Fa da sfondo un'ambientazione paesaggistica suggestiva e ben resa, anche storicamente, quale atmosfera di odio e sete di vendetta e il prodotto cinematografico si concentra sul rapporto fra un sergente danese e quella sua squadra, su una spiaggia limitrofa ad una fattoria, abitata da una madre con la sua bimba. Per gran parte dell'ardua operazione il militare sarà ruvido e crudele, non potendosi, però, alfine, sottrarre ad un processo interiore che lo porterà a contraddire gli ordini ricevuti, per un atto di giusta pietà. Il film di per sé d'azione, esplora con molta sapienza i caratteri tipizzati dei prigionieri: e così accanto al finto duro, che incita i compagni alla fuga, troviamo una coppia di fragili gemelli e l'autorevole Sebastian che, più maturo degli altri, ha intuito che occorra stabilire un legame comunicativo con il loro carceriere. Ricordando "Furyo" di Oshima o "Il ponte sul fiume Kwai" di Lean, questo lungometraggio è anch'esso testimonianza storicamente degna, che riesce anche a superare i limiti di un contributo solo didascalico. Ottima la regia, ove Martin Zandvliet è anche autore della sceneggiatura. I protagonisti e gli altri interpreti, in ruoli mai marginali (un valido Roland Mǿller, il sergente tardamente convertito. Mikkel Boe Fǿlsgaard, Laura Bro, Louis Hofmann, Joel Basman) contribuiscono alla buona resa dell'opera.

Tosi Siragusa