Doppio legame. Una storia semplice

Doppio legame. Una storia semplice

Tosi Siragusa

Doppio legame. Una storia semplice

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lunedì 09 Ottobre 2017 - 08:21

Uomini minimi di un mondo striminzito in un disturbante controcanto sulla mafia

Nell’ambito del SabirFest 2017 per Clan Off Teatro, presso il seicentesco Monte di Pietà messinese, ha avuto luogo la piece Doppio legame di Maria Piera Regoli e Turi Zinna, un testo denso, a tratti disturbante, con quella sua descrizione capillare, da entomologo quasi, di abiezione socio-ambientale. Enzuccio, ambiguo protagonista del monologo, fattosi pentito, potrebbe essere uno qualunque in questa umana commedia che vuole raccontare di un universo piccolo piccolo, ove si consumano fra diuturne prepotenze minuscole esistenze ai margini. Turi Zinna ne è encomiabile interprete e riesce a rendere bene, con alternanze timbriche, anche gli altri personaggi che con Enzo interagiscono, riportandone con versatilità e rispetto delle sfaccettature le posizioni espresse nel corso di conversazioni.

Ne risulta uno spaccato che fa emergere una inarrestabile spirale che schiaccia il diseredato, che non ha via di scampo se non quella di esprimere nei confronti della platea a cui si rivolge tentativi di giustificazioni per le azioni nefande commesse, in un confuso mascherarsi che vorrebbe scusare la sua doppia morale. Una storia come tante, che trova una genesi qualunque, in questo caso quella di porgere aiuto al fratello in ambasce per un illecito commercio di acciughe miseramente fallito, che lo ha costretto a indebitarsi; nella concitazione del raccontarsi e di essere credibile in scena (che può equipararsi alla sua vita di finzione) Enzuccio cerca di ingraziarsi gli spettatori, calcando la mano sulle motivazioni, a suo dire quasi etiche, che lo hanno condotto alla rapina ad un bar della sorella di un potente mafioso. Il performer, mano a mano che gli eventi precipitano e rendono sempre più stringente il suo coinvolgimento, cercherà di forzare le reazioni emotive del pubblico, generando in tal guisa una sorta di “doppio legame”, quello dell’intitolazione appunto, un doppio vincolo ove emerge l’incoerenza fra i contenuti verbali e le modalità espressive che li contraddicono, causando dilemmi in chi ascolta e percepisce omissioni, vuoti, contraddizioni. Gli autori si sono rifatti interamente ai documenti del maxi processo alla mafia del 1986 per due mise en scene del '92 e '93, in un periodo cioè fra i più bui della storia italiana repubblicana con uso di un linguaggio scabro e preciso che affida più agli eventi e alle cose il compito di parlarci. E così, le testimonianze dei primi pentiti, esseri deprivati e alla deriva, che erano parse loro quali farse tragicomiche, costituiscono per gli scrittori il nucleo di partenza per consentire la rappresentazione della forte contiguità fra i bisogni primari della società mafiosa e di quella che mafiosa non è, di quell’essere comunque impotenti ed esposti alle prepotenze e bisognosi dunque di essere difesi per conquistare quel rispetto che ogni individuo in un universo utopico dovrebbe già ontologicamente possedere. Al di là di impossibili giustificazioni di una sub-cultura di prevaricazione e morte, la piece è la rappresentazione di un controcanto sulla mafia, che indaga fra le pieghe di un sottobosco di piccoli malavitosi, di individui-massa privi di coscienza politica o sociale,che per questo sgomentano, nei quali si cerca comunque di cogliere un barlume di umanità. Lo spettacolo ha giustamente ottenuto riconoscimenti, il premio “Oltreparola” nel 2006 e quello “Autori nel cassetto Autori sul comò” nel 2011 e costituisce una eccellenza in quel teatro civile per quel suo linguaggio crudo che mira alle coscienze, per la febbrile prova di Turi Zinna che una convincente regia di Federico Magnano San Lio inchioda ad una documentaristica drammaticità, in ciò coadiuvata da un sapiente uso dell’illuminazione scenica. La tensione narrativa rimane costante e non scema durante i 70 minuti dello spettacolo teatrale, incisiva e sempre misurata, con l’autoironia sottile dell’interpretazione a far da collante. Ed Enzo, che ha nei fatti scelto fra la quasi certa condanna a morte ad opera della mafia e una esistenza di dannazione, se non la comprensione, che mai gli si potrebbe tributare, per le azioni abiette delle quali si deve prendere atto da spettatori, si guadagna alfine il nostro dubitare, a tratti addirittura con empatia, e la nostra percezione della condizione fortunata di non trovarci in quel suo punto di partenza ove tutto diviene tragicamente possibile.

Enzuccio non ci convince certo, ma probabilmente il nostro sguardo su di lui non è fulminante, non perché crediamo alla forme fittizie che vorrebbe rimandarci, ma proprio per la nostra non identificazione con il personaggio, con chi non conta nulla, non ha opportunità alcuna e proprio per questo è più debole. La forza delle sue argomentazioni sta nel farci percepire la mancanza del libero arbitrio per quelli nella sua condizione, il gap fra il suo e il nostro universo, facendoci penetrare quasi la sua esposizione e le connesse reazioni difensive per non essere “schifiatu” e “scumpariri”.

Tosi Siragusa

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