“Omorfaskimi”, o dell’incomunicabilità

A seno nudo sul palco: una breve vestizione tra le luci soffuse; in sottofondo canzoni del periodo bellico, una marcia, lo sguardo fiero verso la platea. Un monologo di cinquanta minuti in greco, tra pianti, risate e un racconto che si fa sempre più incalzante. Il vuoto.

Un disguido tecnico priva “Omorfaskimi” dei sopratitoli: impossibile, pare, proiettarli alla Sala Laudamo. Nathalia Capo D’Istria, regista e attrice di questo spettacolo ispirato all’omonimo romanzo di Nikos Kachtitsis, non si risparmia di fronte ad una desolante platea composta unicamente da pochi addetti ai lavori: interprete eccellente e professionista esemplare, se il giudizio si limita alla sola mimica e alla decisione di rispettare fino all’ultimo il contratto con l’Ente Teatro nonostante l’insormontabile ostacolo linguistico. Tempestive le scuse del direttore artistico Ninni Bruschetta per un’occasione persa a causa di un evidente difetto di comunicazione: uno spostamento nel retropalco del Vittorio Emanuele, come accaduto per lo spettacolo giapponese “Dots, lines and the cube” della scorsa stagione, avrebbe probabilmente risolto tutte le problematiche emerse. Fuori dalla Sala Laudamo, una sigaretta accesa in bocca, Nathalia Capo D’Istria appare costernata per quel che è accaduto: un laconico “ciao” e un sorriso per i pochi superstiti della serata, una smorfia incredula che non necessita di alcuna traduzione. Lo spettacolo andrà in scena con le medesime modalità anche stasera (ore 21) e domenica pomeriggio (17.30): non per sterile pubblicità, ma per rispetto ad un’interprete che ha profuso, vanamente, tutta la propria energia in una situazione farsesca, si invita la nutrita comunità ellenica di Messina ad assiepare le poltroncine della Laudamo. Per l’Arte, almeno.

Omorfaskimi”, si legge nel comunicato diffuso dal Teatro, narra “in forma epistolare, la vita di Gertrude Stern, un’ebrea austriaca che in un caffè di una città dell’Europa centrale, ma potrebbe anche essere una città del Canada, racconta ad un perfetto sconosciuto la storia della sua vita”. Per il recensore solo l’epoché, la sospensione del giudizio teorizzata dall’accademia platonica: e più non dimandare.

Domenico Colosi