La relatività del tempo e le regole del fuori gioco

Il tempo non sempre è un valore assoluto, a volte è relativo, è come un elastico, per alcuni si trasforma in un cappio che più trascorre più stretto si fa, per altri è una fionda che lancia verso giorni di gloria. Pensavo a questo mentre salivo i gradini del Campanile del Duomo, dove venerdì mattina si è affacciata la rabbia degli 85 ex Servirail. Mentre salivo cercavo di ricordare quando è stata l’ultima volta che qualcuno si è arrampicato su uno dei luoghi “simbolo” della città per far sentire la sua voce. Sul finire del 2000 i dipendenti della Telecom srl rimasero lì per giorni e notti. Son passati 12 anni e venerdì a salire quei gradini sono stati altri lavoratori, i “cuccettisti” che da quasi 180 giorni presidiano la stazione ferroviaria per contestare i licenziamenti avvenuti nell’incapacità delle forze politiche di difendere il proprio territorio. Son saliti lassù dopo aver saputo che l’incontro fissato a Roma il 30 maggio era stato rinviato. Nel frattempo, il 12 giugno, verrà ripristinato per 6 mesi il treno notte fino a Milano, ma, incredibile a dirsi, i cuccettisti su quei vagoni non saranno i “nostri”, perché l’impresa che ha vinto l’appalto per il servizio ne ha chiamati altri. Su quel Campanile saremmo dovuti salire noi, tutti i messinesi con il sindaco, il prefetto e l’arcivescovo in testa, perché a essere presi in giro siamo stati tutti. Vendola in Puglia l’ha fatto e ha riottenuto treni e posti di lavoro. Sui 700 Servirail d’Italia quelli ancora a spasso sono i nostri. Allora qualcosa non va. Salendo quei gradini pensavo che spaventa vedere come la loro disperazione sia finita sotto gli occhi di tutti il 1 dicembre e sotto gli occhi di tutti sia rimasta per 6 mesi. Pensateci bene, pensate a come sono trascorsi per voi questi 6 mesi, cosa avete fatto, se son stati lenti o son passati in un attimo. Per queste famiglie 180 giorni con gli ammortizzatori sociali che si avviano alla fine, con le speranze che si fanno via via più sottili mentre la rabbia diventa sempre più grande, sono stati un inferno durato “180 mesi”. Ogni movimento di lancetta è stato lentissimo, aggrappato alla speranza di un incontro con Braccialarghe o di una buona notizia da Roma. Per loro il tempo è stato un cappio via via più stretto al collo e non è passato mai. Se non lo viviamo sulla nostra pelle non capiremo mai cosa vuol dire anche uno solo di questi giorni passati a dipendere dalle parole altrui. Guardi in faccia tuo figlio e non sai cosa dirgli, ti guardi allo specchio e non sai più chi vedi. Per altri non è stato così e questi 180 giorni, così come gli anni, son passati in un lampo. Pensiamo ai provvedimenti del governo: la riforma delle pensioni l’hanno fatta in un nanosecondo, i tagli alla casta, a distanza di 180 giorni (mentre i Servirail dormivano in una tenda) ancora non li hanno fatti perché, come ha detto Monti: “occorre il microscopio con bisturi per capire dove operare”. Gli sprechi sono evidenti come un dinosauro che prende il sole in un balcone eppure il governo ha bisogno di “tempo”. Anche i nostri stipendi, per fare un altro esempio, secondo l’Istat sono fermi al ’92, per le nostre tasche 20 anni non sono passati. E il tempo si è fermato per tutta la classe dirigente, son convinti di essere ancora agli anni ’90 (alcuni son fermi agli ’80 e ‘70) e che per loro, di poltrona in poltrona, il tempo non sia passato. Invece è trascorso mezzo secolo e non si sono accorti che nel frattempo intorno ci sono macerie. I “giovin virgulti” resistono e, come il dio greco Crono (appunto il dio del Tempo) divorava i suoi figli per il timore che potessero un giorno spodestarlo, impediscono il ricambio, anche a costo di far affondare la nave mentre loro continuano a suonare come l’orchestrina del Titanic. Così il Pd a Palermo cerca i cavilli per evitare la norma che impedisce di andare oltre il terzo mandato. Tre mandati equivalgono a 15 anni eppure non bastano mai, non sappiamo da quanti anni, per esempio, Rosy Bindi o Massimo D’Alema siano in Parlamento. Regola vorrebbe che una volta “svernati” alla Regione si venga “promossi” a Roma, ma che ci fai con quei parlamentari che invece non hanno alcuna intenzione di mollare lo scranno? In teoria dopo aver accumulato una decina di mandati dovrebbero diventare “padri nobili del partito”. Macchè, il tempo, dicevamo, in questi casi è “un’opinione”. Nel Pdl il presidente dell’Ars Francesco Cascio ha onestamente ammesso che questa classe dirigente ha fallito e se non vuole andare diritta verso l’estinzione deve azzerare i vertici. A Messina i circoli della Giovane Italia Quo usque tandem e Catilina, hanno tuonato: “adesso basta, azzeriamo il Pdl”. Il rischio vero è, a destra come a sinistra, che anche in riva allo Stretto i movimenti di protesta abbiano la meglio. Non ci sono rendite per sempre e lo dimostra la sconfitta in casa di Nania. E il direttivo Pdl che fa? Finge di ascoltare i giovani che fanno politica attiva in mezzo alla gente e poi al momento dei fatti li infila nello sgabuzzino. Prendi il caso di Ciccio Rizzo (che non è affatto un giovane, ha 40 anni e mezza storia degli ex An poi transitati nel Pdl è sua), che già alle provinciali ha dato prova della sua forza in termini di voti, a Lipari ha organizzato un movimento in vista delle amministrative. A gennaio chiede le primarie, che il partito inizialmente accorda, poi si rendono conto che rischia di vincerle sul serio e le annullano, prendono un altro candidato, lo schierano contro Rizzo spianando la strada al cugino di D’Alia che infatti vince e ringrazia. Poi lo stesso direttivo che si lecca le ferite per le batoste di Barcellona e Lipari avvia un provvedimento contro Rizzo. Come Crono. Negli ultimi 2 anni sono stata l’addetto stampa dell’Acr Messina ed ho trascorso interi pomeriggi domenicali nei campi più improbabili della Sicilia e della Calabria e ho imparato che la regola del fuori gioco non è affatto un dogma, dipende da chi sta guardando. Se sei tifoso della squadra che lo subisce cinque centimetri diventano cinque metri e viceversa. Tu pensi, ma come, “oggettivamente se ne accorge anche un cieco che è fuori gioco”, e invece il tuo vicino, magari attempato e distinto signore che sta in tribuna ed è della squadra avversaria è pronto persino ad un duello pur di dimostrarti il contrario. Ecco, il tempo è come il fuori gioco, è relativo, ognuno ha il suo orologio. Per gli ex Servirail i quasi 180 giorni sono 180 mesi, per altri, i decenni in poltrona sono 10 giorni e per loro il fuori gioco non scatta mai. Ma arriverà il giorno in cui qualcuno deciderà di rompere gli orologi e magari salire sul Campanile e riprendersi il Tempo e la speranza. Lo hanno già fatto Dina e Clarenza molto tempo fa….
Rosaria Brancato