Corsi d’oro, il processo a Genovese resta a Messina

Resta a Messina il processo a Francantonio Genovese, il cognato e onorevole regionale Franco Rinaldi, i familiari, i collaboratori, e gli altri nomi finiti nell'inchiesta Corsi d'oro 2, quello sul sistema Formazione Professionale e gli enti Aram, Ancol, Lumen, l'impresa Caleservice e altre sigle legate a Genovese o agli enti di formazione. Lo ha deciso la Corte che sta celebrando il processo (presidente Grasso), che ha detto no alla richiesta dei difensori, gli avvocati Bonni Candido e Nino Favazzo, i quali oggi hanno avanzato l'eccezione di incompetenza già annunciata alla scorsa udienza. I due hanno presentato una eccezione di incompetenza relativa ad una circostanza emersa nelle indagini, ossia una relazione di servizio della Squadra Mobile di Messina relativa ad un estratto delle conversazioni telefoniche intercettate.

In una di queste conversazioni, trascritte e agli atti del processo, si fa riferimento ad alcuni magistrati che avrebbero usufruito delle tessere della Caronte&Tourist, per non pagare il servizio di traghettamento di cui erano costretti a servirsi per via del pendolarismo lavorativo. Una conversazione che almeno ad oggi e almeno per quel che è conoscibile non ha prodotto alcuna imputazione a carico di alcun giudice, cioè non esistono inchieste ancora pubbliche che hanno portato all'individuazione di questi magistrati che avrebbero goduto di presunti "favori" da parte della Caronte&Tourist, società nella quale Genovese ha una cospicua quota azionaria. In sostanza la richiesta degli avvocati era quella di trasferire il processo ad altro tribunale, diverso da quello messinese, per via del fatto che nell'inchiesta emergerebbero i sospetti che alcuni magistrati del distretto avessero usufruito di tali benefici.

Una richiesta troppo generica, non sostanziata da circostanze meglio precisate, riferite a possibili profili di responsabilità che non emergono dagli atti del processo, che nulla hanno a che vedere con i fatti indagati in questo processo: questa la tesi del pm Sebastiano Ardita, in aula a reggere l'accusa insieme al collega Fabrizio Monaco, che si è opposto all'eccezione. Una mezz'ora di camera di consiglio, poi la Corte ha deciso: eccezione rigettata perché l'incompetenza funzionale adombrata doveva essere valutata in udienza preliminare, poi udienza aggiornata al prossimo 23 giugno. Erano da poco passate le 17 quando il palazzo di Giustizia si è svuotato.

L'udienza però è cominciata intorno alle 12, e non sono mancati anche stavolta i "coupe de teatre", con la presidente Grasso che ha prima richiamato e poi fatto allontanare dell'aula Luigi Genovese, il figlio dell'onorevole che stava seguendo il processo accanto alla madre ed alla zia, anche loro imputate, perché "troppo rumoroso". A richiamare l'attenzione della Corte è stato il battere di mani che Luigi avrebbe tributato al consulente della Procura che in quel momento stava deponendo, cioè il commercialista Polizzotto. L'allontanamento dall'aula del giovane Genovese ha provocato la reazione dello zio Rinaldi, a sua volta "richiamato" dal pm Ardita. Insomma, qualche attimo di imbarazzante concitazione e toni sopra le righe, poi la presidente della Corte ha richiamato tutti alla calma e ad andare avanti, archiviando le beghe d'aula.

Polizzotto ha parlato un paio d'ore, rispondendo alle domande dell'accusa e delle difese, in particolare agli avvocati Salvatore Versaci, difensore del commercialista Stefano Galletti, e dell'avvocato Favazzo, difensore dei Genovese. L'avvocato Versaci in particolare gli ha chiesto alcuni chiarmenti rispetto alla sua consulenza su alcune fatture relative alla Caleserice che chiamano in causa lo studio Galletti. Il difensore ha poi depositato una serie di documenti a precisazione. Ma il consulente contabile della Procura, che ha "fatto le pulci" alla Caleservice, cioè la società che la Procura di Messina ha dipinto come una sorta di "cartiera personale" di Genovese, ha rischiato di non deporre, malgrado la convocazione in aula. L'avvocato Favazzo, infatti, si era opposto alla sua deposizione perché all'udienza dello scorso 28 maggio il commercialista aveva depositato un ulteriore elaborato, da lui definito una "rielaborazione" della sua precedente consulenza, mentre secondo i difensori è una vera e propria nuova consulenza. La Corte ha però liquidato anche questo "ostacolo" facendo leva sul fatto che i documenti di Polizzotto erano già nel fascicolo, quindi visionabili dalle parti.

Rinaldi non ci sta: "Non sono stato richiamato da nessuno, tanto meno dal pubblico ministero che caso mai si sarebbe dovuto rivolgere al giudice – replica l'onorevole – Ha anche abusato facendo chiedere il documento a mio nipote lugi dal carabiniere sapendo che lui in udienza non puo disporre se non dietro autorizzazione dello stesso giudice. Tra l'altro le ricordo , cosi come avrà potuto constatare, che mio nipote non ha fatto nessun pplauso se non un cenno simulato senza nessun battito".

Alessandra Serio