Mancuso: “Nel 2013 nessuno parlò quando Messina non diventò porto core. Ora solo campanilismi”

Al dibattito sulla riforma portuale e sull’accorpamento dell’ Authority di Messina con quella di Gioa Tauro interviene il senatore di Area Popolare Bruno Mancuso ricordando che la legge nasce per dare seguito alle direttive dell’Unione Europea. “Direttive – afferma– contenute nel Piano per lo Sviluppo della Rete Transeuropea dei Trasporti, risalente al 2013, nel quale venivano individuati i porti “core” o centrali, spina dorsale strategica dello sviluppo del sistema dei trasporti in Europa ed in Italia. All’epoca non vi fu alcuna protesta né rivendicazione rispetto al mancato riconoscimento del Porto di Messina quale porto “core” e quindi porto strategico. Il piano sulle nuove autorità di sistema portuale deriva, inoltre, dal piano strategico nazionale di portualità e logistica, che non prevede, così come si continua a sostenere, accorpamenti (le autorità portuali esistenti saranno comunque uffici territoriali portuali mantenendo le strutture amministrative) né distretti, bensì “sistemi”, senza logiche egemoniche ma valorizzazione delle complementarietà funzionali specifiche dei vari porti”. Secondo Mancuso si tratta di un nuovo modello di governance che consente la possibilità di avviare partnership pubbliche o private per il reperimento di risorse. “Una riforma che individua come strumenti operativi non più autorità portuali autonome ed autoreferenziali, ma sistemi portuali logistici, parti di un grande sistema nazionale, raccordati con un centro di coordinamento presso il Ministero dei Trasporti. In tale contesto, con la presenza del sistema portuale Messina-Milazzo (in futuro possono aggiungersi altri porti della Provincia) in quello più ampio del sistema Tirreno-Meridionale si darebbe luogo ad un sistema interregionale sul territorio di due città metropolitane che già interagiscono in settori importanti. Quindi non si è in presenza di alcuno “scippo” ma di una diversa potenziale occasione di sviluppo. Di fronte a tale quadro di insieme, si è però preferito guardare solo alle rivendicazioni territoriali municipalistiche, fino a giungere, come ha fatto il Presidente della Regione, a minacciare ricorsi contro il decreto legge. Presidente che avrà occasione di mostrare i muscoli già nella imminente conferenza Stato-Regione, in cui però probabilmente non potrà dimenticare di avere in corso con lo stesso governo nazionale una difficile trattativa per definire un accordo strutturale tendente a superare le criticità finanziarie della Regione. Accordo che dovrebbe portare nelle casse della Regione un miliardo e quattrocento milioni di euro, necessari per evitare il “default” e che, è chiaro a tutti, potrà essere realizzato solo in un contesto di piena e totale sinergia fra governo nazionale e governo siciliano”.

L’ultima frecciata quindi è riservata al governatore Crocetta che è impegnato in un rapporto conflittuale con il governo Renzi che da mesi “regola” l’ossigeno per la Sicilia e tiene sotto scacco la Regione dosando interventi, risorse, commissariamenti e bacchettate.