La Corte si è pronunciata: la leggina “salva Buzzanca” è incostituzionale. Ma non ci saranno dimissioni

L’esito era quasi scontato, ma adesso è ufficiale: la Corte Costituzionale si è pronunciata sul ricorso presentato dall’avvocato messinese Antonio Catalioto contro il doppio incarico del presidente della Provincia di Caltanissetta Federico e, di riflesso, del sindaco Buzzanca, entrambi anche deputati regionali. Il ricorso, nella fattispecie, era riferito alla famosa “leggina” salva doppio-incarico, che rinviava al terzo grado di giudizio l’obbligo di optare tra le due cariche. Leggina che adesso la Corte ha dichiarato incostituzionale. In particolare la Consulta ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale della legge (…) nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di presidente e assessore di una Provincia regionale», così come della legge «nella parte in cui prevede che, “Ove l’incompatibilità sia accertata in sede giudiziale, il termine di dieci giorni per esercitare il diritto di opzione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza”».

Secondo Catalioto: «Il cerchio si chiude. Dal punto di vista giuridico, dopo tre anni di battaglie definite con tre sentenze favorevoli della Corte Costituzionale numeri 143, 277 ed oggi 294, ho l’orgoglio di aver contribuito, nell’ambito dei doppi incarichi, a ristabilire la piena legalità a livello nazionale e regionale. Una porcata definitivamente cancellata. Per quanto riguarda il sindaco di Messina, già ci sono due sentenze che hanno pronunciato la sua incompatibilità. Non sta a me indicare le conseguenze».

Ma adesso cosa succederà? Buzzanca si dovrà dimettere da una delle due cariche. Secondo il legale di fiducia del sindaco, Marcello Scurria, non è ancora il momento: «Prendiamo atto della sentenza, allo stato non c’è nulla che impone a Buzzanca di dovere scegliere». In sostanza, la linea che prende corpo nell’entourage del sindaco è che ci vorrà un nuovo ricorso del primo dei non eletti a Palermo, Antonio D’Aquino, e di conseguenza una nuova sentenza. Linea opposta a quella che lascia intendere Catalioto. Il caso, dunque, non è ancora chiuso.