Doppio incarico di Buzzanca. Il Tar accoglie il ricorso di D’Aquino, la Regione dovrà risarcirlo

La vicenda ci ha accompagnato per tutta la scorsa legislatura regionale. Il doppio incarico dell’ex sindaco Giuseppe Buzzanca ha suscitato una serie di polemiche che si sono spente solo il 26 giugno 2012, quando l’Assemblea Regionale Siciliana lo ha dichiarato decaduto dalla carica di deputato regionale, sostituendolo col primo dei non eletti, Antonio D’Aquino. Pochi mesi dopo, Buzzanca si è dimesso dalla carica di sindaco ed è terminata anche l’”era Lombardo” alla Regione.

La questione non era terminata, però, per D’Aquino, che si riteneva leso dalla tardiva “sostituzione” e, rappresentato dall’avvocato Antonio Catalioto, aveva promosso ricorso al Tar contro la Commissione regionale per la verifica dei poteri. Ricorso che adesso il Tribunale Amministrativo Regionale di Palermo ha accolto nel merito, anche se non nel “quantum” del risarcimento.

Tutto ebbe inizio con una sentenza della Corte Costituzionale, la numero 143 del 23 aprile 2010, che dichiarava incostituzionale la legge regionale numero 29 del 1951, per ciò che concerne il doppio incarico. Deve cioè essere inclusa tra le incompatibili con la carica di deputato regionale quella di sindaco o assessore di un Comune con popolazione superiore a 20mila abitanti. Fattispecie nella quale, evidentemente, rientrava anche l’ex sindaco di Messina, Buzzanca, regolarmente eletto nel 2008.

Sulla base di questa sentenza, D’Aquino ha presentato reclamo alla Commissione regionale il 3 giugno 2010. La Commissione, secondo il regolamento dell’Assemblea Regionale Siciliana, avrebbe dovuto trasmettere all’Ars, unico organo competente per la deliberazione, la relazione sull’incompatibilità entro un anno dalla proposizione del reclamo, quindi entro il 3 giugno del 2011. Trasmissione che non avvenne né entro un anno né dopo. Da qui, il ricorso di D’Aquino al Tar.

La Commissione regionale per la verifica dei poteri ha dichiarato la sussistenza dell’incompatibilità di Buzzanca il 30 novembre 2011, quindi già in ritardo rispetto ai tempi previsti. Ma, soprattutto, non ha presentato la relazione scritta all’Ars, poiché la proposta non ha riportato la prescritta maggioranza, in virtù del fatto che, contemporaneamente, sulla vicenda pendeva un giudizio civile, secondo la prassi del principio di alternatività tra due rimedi.

La tesi dell’avv. Catalioto, accolta dal Tar, però, affermava che la Commissione aveva l’obbligo di trasmettere la relazione all’Ars a prescindere ed appunto entro il termine di un anno dalla presentazione del reclamo.

Il principio è che la Commissione ha natura amministrativa e non autonoma, e che l’unico organo competente per la definitiva deliberazione è appunto l’Assemblea regionale siciliana.

D’Aquino doveva dunque subentrare quantomeno dal 3 giugno 2011 ed ha quindi subito un pregiudizio patrimoniale, consistente nella mancata assunzione delle funzioni di deputato regionale. Il Tar ha accolto in toto nel merito le richieste dell’avv. Catalioto, motivandole in più col fatto che il termine di un anno non è breve anche in relazione al fatto che la vicenda non richiedeva particolari approfondimenti vista la chiarezza della sentenza 143/2010 della Corte Costituzionale.

Il risarcimento è stato quantificato, in via equitativa, in 10mila euro oltre interessi e rivalutazione. La richiesta era invece corrispondente a nove mesi di indennità nel suo complesso, circa 11mila euro al mese.

Il Tar ha ritenuto, invece, che il “quantum” andasse notevolmente ridotto in quanto “si tratta di una misura risarcitoria e non di integrale restituzione” ed ancora “va presa in considerazione solo l’indennità in senso stretto tenendo conto che il ricorrente non ha evidenziato se nel frattempo ha percepito altri redditi e che le altre prebende sono previste a titolo di rimborso spese connesse all’effettivo esercizio della funzione”.

(Marco Ipsale)