La dignità del giovane Ahmed di Mogadiscio e la generosità del signor Vincenzo di Villafranca

Incontro il giovane profugo somalo Ahmed al Salone degli specchi della Provincia di Messina, in occasione della Conferenza stampa organizzata dal Circolo Arci “Thomas Sankara-. Capisce l’italiano ma lo parla poco: gli chiedo se conosce l’inglese. Si alza in piedi: è un giovanottone magro ma dal fisico da basket, gli dico. Mi sorride dolcemente: ha gli occhi terribilmente stanchi. Mi chiedo cosa abbiano potuto mai vedere quegli occhi di giovane ragazzo in un’età, 24 anni, in cui i pensieri sono rivolti ad altro: lo studio, il lavoro, le ragazze. Ahmed mi spiega “Non stavo male a Mogadiscio: c’erano problemi vari, però non andava malissimo- – mi spiega. “A un certo punto è cambiato tutto in peggio. La situazione si è fatta convulsa: girava della gente per strada con le armi. Si organizzavano in bande: entravano nelle case, rubavano, stupravano, uccidevano. Non si stava più tranquilli.- Ma chi sono? Ti sei fatta un’idea?, gli chiedo. “Non lo so.

So solo che mio padre mi spingeva ad andar via da lì. Si doveva far presto: non stavamo tranquilli.

Temevamo che presto sarebbe potuto toccare anche a noi. Io sono andato via da lì: loro non ce l’hanno fatta. Li hanno uccisi: hanno ucciso mio padre e mio fratello.- Lo abbraccio d’istinto, quasi paternamente: c’è tutto il mio imbarazzo. E’ una situazione di cui siamo responsabili anche noi, con le nostre scriteriate scelte politiche, lo sa anche lui. “Si- mi dice: “so che alcuni Italiani si sentono responsabili ma la gente comune non ha colpa. Sono i politici ad indirizzare le cose in un certo senso e certamente alcune scelte politiche non furono esenti da colpe che spiegano forse le cause e gli effetti di ciò che accade da noi-. Cosa farai ora, gli chiedo, abbassando gli occhi. “Non lo so ma molti di noi vogliono andare al nord, avere una nuova opportunità di lavoro e di vita. O congiungersi ad amici che stanno nel nord Europa.- ‘Ti resta qualcuno ancora a Mogadiscio?’, gli chiedo. “Ciò che resta della mia famiglia, cioè mia madre e un altro fratello. Poi alcuni amici. Qualche volta riesco anche a sentirli.-

Un uomo che non vuole stare a guardare, un siciliano vero: il signor Vincenzo di Villafranca.

“Noi siamo stati immigrati e non possiamo dimenticare gli aiuti che abbiamo ricevuto. Non possiamo lavarcene le mani.-

Se ne va, poi torna in auto e se ne porta via ben tre per ospitarli a casa sua.