La riforma delle Authority, le parole di Crocetta e il rischio di perdere 60 milioni

Il brutto vizio di concentrarsi sulle parole e non sui fatti. Forti, sicuramente, quelle del presidente Crocetta ma è altrettanto forte il collegamento tra la ‘ndrangheta e ogni cittadino calabrese, idea talmente al di fuori da ogni ragionamento logico da non dover essere neppure presa in considerazione. Ed invece ci si concentra sulle parole, tanto da dover persino chiedere scusa ai calabresi, come se l’attinenza tra la ‘ndrangheta e il porto di Gioia Tauro fosse un’accusa a tutti loro. Secondo D’Alia, Crocetta “fa da megafono a operatori privati”. Può darsi ma è bene anche fare un passo avanti: ciò che dice è corretto o è una stupidaggine? Questo è quello che interessa.

Che al porto di Gioia Tauro ci siano infiltrazioni della ‘ndrangheta non lo dice certo Crocetta per la prima volta. Lo dice, anzitutto, la Commissione parlamentare antimafia che, in una relazione del febbraio 2008, scrive che la ‘ndrangheta “controlla o influenza gran parte dell’attività economica intorno al porto e utilizza l’impianto come base per il traffico illegale”.

Se queste influenze possano estendersi fino a Messina, come paventa Crocetta, o se sia un allarme infondato non lo sappiamo ma la preoccupazione può anche essere legittima.

Ciò che invece sappiamo per certo è che l’unione potrebbe rivelarsi “tragica” dal punto di vista economico. Sugli altri aspetti si può discutere ma un dato non è in dubbio: dal 1. gennaio 2017 i bilanci si fonderanno. L’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Meridionale comprenderà la bellezza di nove porti: i due porti di Messina – Storico e Tremestieri -, Milazzo, Villa San Giovanni, Reggio Calabria, Gioia Tauro, Taureana di Palmi, Crotone e Corigliano. Tutti hanno da guadagnare perché Gioia Tauro mantiene la leadership coi suoi tre porti periferici, mentre Villa e Reggio non erano sede di Autorità Portuale. L’unica che ha da perdere è l’Authority di Messina, non solo la sede e la governance ma, soprattutto, i fondi perché gli unici porti a produrre reddito sono quelli di Messina e Milazzo. Un bilancio in attivo di circa 60 milioni (i soldi di cui va spesso ripetendo Crocetta), che non ci sarà più il tempo di spendere per la Zona Falcata o il Quartiere Fieristico di Messina, ma che serviranno prioritariamente alle manutenzioni delle banchine dei porti, ai dragaggi, alle videosorveglianze, agli uffici, di Messina e Milazzo così come di Gioia Tauro o di Reggio o persino delle lontane Crotone e Corigliano.

La situazione non sarebbe idilliaca neppure all’interno dell’Authority della Sicilia Orientale, “sottoposti” ad Augusta. Dal punto di vista dei fondi, ed è questo che fa sorgere più di qualche dubbio, il quadro sarebbe sicuramente migliore. Catania non produce grandi redditi ma Augusta sì, anche più di Messina e, dunque, la fusione dei bilanci non sarebbe così svantaggiosa. Qui il rischio è politico più che economico e in molti si son fatti prendere dalla paura che Catania, seppur porto più debole, possa rappresentare un baricentro forte dal punto di vista imprenditoriale e non lasciare spazi. Anche in questo caso, tranne Messina, tutti contenti: Augusta mantiene la sede, Catania si prende la presidenza, Messina, il terzo incomodo, è fuori dai giochi.

L’unica àncora di salvezza sarebbe stata mantenere l’autonomia, inglobando i porti di Villa San Giovanni e Reggio Calabria. Quella sì l’Authority dello Stretto, mentre quella varata rischia di restare l’Authority di Gioia Tauro. “Da sempre abbiamo fatto di tutto per l’autonomia dell’area dello Stretto – ci ha detto il sindaco Accorinti, quando abbiamo chiesto del rischio economico sotto Gioia Tauro -, dicendolo a Renzi e Delrio in tutti i modi possibili. Ma se proprio ci obbligano all’accorpamento, preferiamo fare squadra col porto di Gioia Tauro, che è più importante e non in concorrenza con il nostro. Dall’altro lato, invece, c’è una forte spinta politica da parte di Bianco, che giustamente difende la sua città”. Posizione anche condivisibile, da questo punto di vista, ma ben diversa dai toni trionfalistici per la realizzazione di un “ponte immaginario” sullo Stretto (VEDI QUI). Una soluzione di ripiego per Messina che, come spesso accade, perde i suoi enti più importanti, persino nel caso di un’Autorità Portuale coi bilanci in attivo e radicata sul territorio.

Sono riuscite nell’impresa di mantenere l’autonomia ed evitare l’accorpamento tra loro Trieste e Venezia, Ravenna e Ancona, Genova e La Spezia, e, da ultimo, anche Taranto e Bari. La vera Authority autonoma dello Stretto, solo con i porti di Messina, Milazzo, Villa e Reggio, poteva e doveva rappresentare la sedicesima Autorità di Sistema Portuale italiana. Che invece restano 15 e segnano l’ennesima sconfitta di tutta la politica messinese.

(Marco Ipsale)