“Tutto può cambiare. Tutto”. Le idee, i giudizi, i destini. Le persone. Il cambiamento è qualcosa che nasce da dentro, è intimo, ma serve la chiave giusta per metterlo in moto. Una chiave che ieri al Carcere di Gazzi ha creato una connessione speciale, ha abbattuto muri e sbarre, ha fatto parlare cuori e occhi. Una chiave chiamata teatro, un palco e una platea che per due ore sono state un tutt’uno, il mondo di fuori e il mondo di dentro, quello libero e quello che sta dentro una cella in attesa di giudizio o per scontare una pena.
Tante le riflessioni e le sensazioni lasciate dallo spettacolo “Ragazzi” andato in scena nel nuovissimo teatro della casa circondariale di Gazzi. Frutto del progetto chiamato, non a caso, “Il teatro per sognare”, ciò che è accaduto sul palco di quello che era un auditorium oggi trasformato in vero teatro è stato molto più di uno spettacolo. Sia per chi l’ha visto che per chi è stato sul palco a recitare.
In scena otto detenuti della sezione di massima sicurezza del carcere di Gazzi, 8 uomini che hanno interpretato i “Ragazzi” raccontati dai “Fratelli Karamazov” di Fedor Dostoevskij e che sono diventati i protagonisti di un percorso che si è basato su un laboratorio teatrale che li ha portati a diventare una compagnia, “La libera compagnia del teatro per sognare”, e a realizzare un vero e proprio teatro e uno spettacolo.
Anima e ideatrice di questo progetto è stata Daniela Ursino con la sua associazione D’aRteventi che ha trovato appassionata collaborazione nella Caritas Diocesana, nel Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, nella Casa Circondariale di Gazzi, nel Tribunale di Sorveglianza, nella Polizia Penitenziaria.
A dirigerli il regista Flavio Albanese, aiutato da Antonio Previti: «Quando si fa teatro ci si mette a nudo tutti: maestri e allievi. Aprire il proprio cuore in un posto così non è naturale, un carcere un luogo in cui gli uomini si chiudono. Allora ho scelto una storia che parla di ragazzi e di cosa succede nella vita di una persona quando le cose cambiano. Ci siamo fidati gli uni degli altri».
In platea un parterre di ospiti istituzionali che hanno applaudito e si sono emozionati di fronte ad un gruppo che è diventato famiglia, come ha raccontato Daniela Ursino.
Orgoglioso di questa sfida vinta il direttore del carcere Calogero Tessitore, così come l’arcivescovo Accolla che adesso spera di poter portare questo spettacolo in Cattedrale e che in barba a ogni protocollo di sicurezza è salito sul palco per stare insieme ad Antonio, Bartolo, Cecè, Enzo Luciano, Giovanni, Peppe, Teodoro.
«Ci avete dato una chiave, adesso tocca a noi avere la forza e il coraggio di chiudere con il nostro passato e aprire la porta della legalità per vivere da uomini liberi» ha detto Cecè leggendo un messaggio a nome di tutti i compagni. Parole che hanno fatto esplodere un applauso lungo e intenso e che hanno emozionato i tanti familiari che erano lì per partecipare ad un momento di incredibile umanità sigillato alla fine dalla commozione e dalla gioia degli abbracci dei bimbi ai loro papà attori.
Una lezione è rimasta per tutti: “Non importa volare alto, è importante volare insieme” diceva il monologo finale. E questo grande gruppo ha dimostrato che insieme si può fare tanto e andare oltre oltre barriera. Anche quelle di un carcere.
Francesca Stornante