“Il CSS migliorerà la situazione ambientale della Valle del Mela”

Sostanziale riduzione delle emissioni, produzione di diossine e furani entro i limiti di legge, nessun aumento significativo nelle concentrazioni di microinquinanti e ampi margini di manovra per il contenimento delle emissioni grazie a sistemi di abbattimento all’avanguardia. Sono questi i punti principali emersi dallo studio sull’impatto ambientale del CSS, commissionato da A2A, proprietaria della centrale termoelettrica Edipower, all’università di Messina. Ne abbiamo parlato con i ricercatori Rossella Vadalà e Francesco Mottese, che hanno condotto lo studio sotto la direzione del prof. Giacomo Dugo.

La ricerca è stata commissionata da A2A per valutare gli scenari emergenti dalla possibile riconversione dell’unità 2, attualmente alimentata ad olio combustibile denso (OCD), a combustibile solido secondario (CSS). Delle altre 5 unità, 2 saranno dismesse entro il 2015 perché obsolete, mentre le restanti costituiranno la riserva fredda dell’azienda. “Il CSS è ottenuto da rifiuti urbani e speciali non pericolosi” – spiega Vadalà – “e coniuga due fattori: la possibilità di gestire i rifiuti organici e indifferenziati e quella di ridurre notevolmente le emissioni inquinanti grazie alle tecnologie disponibili. Difatti, diversi studi hanno dimostrato che le emissioni sono influenzate più dai sistemi di abbattimento che dai combustibili utilizzati. L’utilizzo del CSS da parte della centrale Edipower rispetterebbe tutte le prescrizioni AIA – l’autorizzazione integrata ambientale, che garantisce la conformità degli impianti industriali al decreto legislativo 59/2005 – e comporterebbe una riduzione delle emissioni non solo quantitativa, ma anche qualitativa”.

Lo studio rileva tutte le sostanze emesse dall’utilizzo del CSS da una posizione cautelativa, considerando cioè le condizioni di massima emissione possibile, e segue tre direttrici metodologiche: il confronto delle emissioni inquinanti esistenti con quelle autorizzate in base ai limiti imposti dall’AIA e la valutazione dello scenario emissivo futuro rispetto a quello attuale prendendo in considerazione i valori di emissione confrontabili – comuni a OCD e CSS – e non confrontabili – caratteristici del CSS. Il confronto è con la situazione aziendale del 2013.

I dati parlano chiaro: le emissioni di anidride carbonica sarebbero azzerate, in linea con le moderne politiche ambientali in materia di riscaldamento globale; ma anche tutti i macroinquinanti – diossido di zolfo, ossidi di azoto, polveri sottili – risultano sostanzialmente ridotti. Per quel che riguarda le “nuove” emissioni prodotte dal CSS, in particolare acidi alogenidrici, diossine e furani, tutti i valori risultano abbondantemente al di sotto dei più severi limiti proposti dalle agenzie internazionali: le concentrazioni di acido cloridrico, al momento della ricaduta al suolo, hanno un valore di 1,24 μg/Nmc – il valore di riferimento di CAPCOA, l’istituto californiano di controllo sulle emissioni industriali, è 3 μg/Nmc -; ancora più marcata la differenza per l’acido fluoridrico, la cui concentrazione alla ricaduta sarebbe di 0,062 μg/Nmc, decisamente inferiore ai 2 μg/Nmc considerati ammissibili dall’OSHA – l’agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro -; una citazione a parte meritano diossine e furani, sostanze famigerate e temute, ma che si attesterebbero su valori di 0,062 pg/Nmc, a fronte di un limite consigliato da TVL – Threshold Limit Values – di 100 pg/Nmc.

“Non esiste ancora una normativa che fissi limiti di concentrazione in aria dell’acido fluoridrico” – continua Vadalà, – “né evidenze che possano dimostrare correlazioni tra patologie di natura neoplastica e emissioni di HCl in atmosfera; ma anche riprendendo diversi studi condotti da agenzie internazionali – EPA, OSHA, CAPCOA, TLV – le quantità di acidi alogenidrici rilasciate in atmosfera non raggiungono livelli di rischio, e saranno comunque contenute tramite un reattore a secco con dosaggio di calce idrata, che provvederà alla neutralizzazione dei gas. Per quel che riguarda diossine e furani, si impiegheranno procedure di combustione a temperature superiori a 850°; inoltre, un sistema di carboni attivi ridurrà ulteriormente la produzione di queste sostanze, ma anche di IPA e metalli pesanti. Esistono processi ancora più efficaci da questo punto di vista, in particolare quelli a umido – i più avanzati – e a semisecco che, se impiegati, produrrebbero ulteriori importanti miglioramenti”.

I risultati della ricerca sono destinati a scatenare ulteriori polemiche, soprattutto a causa dell’equazione, sempre più diffusa nella valle del Mela, tra l’utilizzo del CSS e l’incenerimento dei rifiuti. “Il problema” – spiegano ancora i ricercatori – “è che la termovalorizzazione è diventata una chimera, e paga molti pregiudizi; in realtà, bisogna guardare alle modalità con cui vengono effettuati determinati processi, e alle tecnologie impiegate lungo tutto il processo stesso. Si parla tanto dei danni prodotti dall’inquinamento da emissioni industriali, ma nessuno ha mai quantificato i danni dell’abbandono in discarica di tonnellate di rifiuti. Il punto è che trasformare un rifiuto in una risorsa, se si prevede l’utilizzo dei processi e delle tecnologie di cui sopra, non può che essere un vantaggio; e i paesi più avanzati, spesso citati per le loro politiche in materia di riciclo dei rifiuti, riciclano da ormai un decennio anche attraverso la termovalorizzazione di questi ultimi, esattamente come previsto dalle normative europee, che promuovono il recupero dell’energia insita nella frazione residua, ovvero quanto rimasto dopo il recupero di materia per il riciclo. Le questioni aziendali sono altra cosa: è vero, ad esempio, che il CSS ha una resa molto più bassa dell’OCD, ma è altrettanto vero che trattare il CSS richiederà nuove competenze. Non ci compete entrare nelle logiche aziendali, semplicemente dobbiamo concludere, dati alla mano, che l’utilizzo del combustibile solido secondario migliorerebbe sensibilmente la situazione ambientale e sanitaria della popolazione, soprattutto rispetto all’assetto tenuto dall’azienda fino al 2013”.

Giovanni Passalacqua