Breve storia della Casa del portuale, raccontata da chi l’ha vissuta

“Non è vero che la Casa del portuale è stata abbandonata per anni. Non è vero che appartiene al Comune. Sono state dette numerose inesattezze in queste settimane. Anche lei ha scritto inesattezze. Sarebbe giusto chiarire alcuni aspetti della vicenda”.

Eugenio Aloisi è stato l’ultimo Presidente di Italia società cooperativa, fin quando, nel 2011, è andata in liquidazione e vuol chiarire quali sono i punti fermi di una vicenda che rischia di diventare un calderone nel quale mettere di tutto. Sono numerosi i punti fermi dai quali partire, appartiene alla Regione, il terreno è di quella che all’epoca si chiamava Compagnia portuale Italia Messina, non è stata abbandonata, ci sono opere e interventi realizzati dalla cooperativa che fino alla fine del 2010 era lì, una sede con destinazione esclusiva per attività portuali, secondo il contratto. Non è vero che il commissario liquidatore si è svegliato 4 mesi dopo l’occupazione, ma la denuncia l’ha presentata il giorno dopo l’occupazione. Diversi i punti che devono essere chiariti. Andiamo per ordine, seguendo, attraverso il racconto di Aloisi la storia dell’immobile che va di pari passo con quella della Compagnia portuale Italia Messina.

Nel dopoguerra erano le Compagnie portuali, istituite dal Ministero della Marina mercantile, a gestire, in regime di monopolio, le attività nei porti. In riva allo Stretto si chiamava Compagnia portuale Italia Messina e si occupava di tutte le attività e servizi del porto. La sede era negli scantinati del Palazzo Littorio, che i lavoratori condividevano con i porta bagagli. Si veniva assunti per concorso e si doveva essere muniti di libretto di navigazione. Sul finire degli anni ’50 l’allora sindaco Fortino vendette alla cifra simbolica di 1 lira alla Compagnia portuale il terreno dove attualmente sorge l’immobile. “L’atto di vendita lo abbiamo- spiega Aloisi- esiste e specifica che la Casa del portuale, in via di realizzazione, avrebbe dovuto essere destinata ad uso esclusivo dei lavoratori portuali per le attività connesse. Il Presidente della Compagnia allora era Maimone”.

Quindi il terreno è della Compagnia portuale che inizia a costruire il fabbricato per ospitare i lavoratori che nel frattempo erano al Palazzo Littorio. I lavori però non vengono ultimati per difficoltà economiche, nel frattempo un terremoto causa lesioni all’immobile in costruzione, che viene preso di mira dai vandali. Tra gli anni ’60 e i ’70 però la Compagnia deve lasciare gli scantinati del Littorio e trasferirsi nella nuova sede.

“E’ in quel momento che il Console, così si chiamava all’epoca, della Compagnia portuale è costretto a chiedere risorse alla Regione per completare il fabbricato. La Regione provvede agli interventi, ma in cambio incamera la Casa del portuale tra i beni demaniali indisponibili della Regione, ribadendo però che l’immobile sarà sede esclusiva dei lavoratori portuali”.

Ed è nella Casa del portuale che i lavoratori della Compagnia portuale trovano la loro nuova sede negli anni ’70, dove resteranno fino al dicembre 2010. L’inizio della fine è nel ’90 quando attraverso una serie di decreti ministeriali, che poi confluiranno nella legge 84/’94 si metterà la parola fine al monopolio delle Compagnie portuali aprendo la porta alle privatizzazioni per adeguare l’Italia alla normativa europea. La legge 84 fissa una serie di paletti, avviando il percorso di trasformazione. Tra i paletti c’è quello che prevede che le società (siano esse Spa, cooperartive, srl) che derivano direttamente dalle Compagnie portuali, nella fase di transizione avranno la riserva delle attività del porto e dovranno portare in bilancio le attività e le passività, anche di ordine patrimoniale, delle Compagnie. Le società derivate nascono quindi per garantire la concorrenza con le imprese private e tutte dovranno avere i requisiti previsti e l’autorizzazione dell’Autorità portuale.

Nel ’95, come derivazione della Compagnia portuale Italia-Messina nasce quindi Italia società cooperativa che inizia le attività con 25 dipendenti a tempo indeterminato, con sede nella Casa del portuale, come appunto previsto dai contratti. Gli anni ’90 coincidono con il boom dell’acciaio, e la cooperativa cresce fino ad impiegare una quarantina di lavoratori.

“Nel frattempo operiamo un restyling della sede, dai saloni agli uffici- racconta ancora- E’ stato un intervento economico consistente. Ma avevamo molti progetti, come il Museo del mare, corsi per la sicurezza. Quando si dice che erano locali abbandonati si sbaglia. Abbiamo speso soldi, le zone abbandonate sono quelle accanto, il Silos, i Magazzini generali, non la Casa del portuale”.

Nell’aprile 2003 la legge regionale n°4, prevede l’affidamento a titolo gratuito per 30 anni della Casa del portuale alla cooperativa, con obbligo di rispettarne la destinazione. Nel 2008 la crisi del settore fa crollare l’attività. Inizia una parabola discendente fino al 31 dicembre 2010 quando tutti i lavoratori saranno licenziati. La società va in liquidazione e viene nominato commissario Placido Matasso.

“Non è stata abbandonata. Lì ci sono ancora gli uffici amministrativi, le carte, le buste paga, le nostre fotografie appese al muro. Abbiamo tentato di salvare i nostri posti di lavoro fino all’ultimo momento. Poi abbiamo chiuso la sede”.

C’è poi un altro punto sul quale Aloisi vuol fare chiarezza, non è vero che Matasso ha aspettato 4 mesi. Il giorno dopo l’occupazione (che è stata il 25 aprile) ha effettuato le denunce previste. Certo, è triste vedere che, nonostante la Compagnia sia proprietaria del terreno, abbia costruito il fabbricato negli anni ’60 ed effettuato interventi economici importanti, la Regione risulta a tutti gli effetti proprietaria. Ma è andata così. E’ andata che dopo una vita di lavoro e sacrifici, spesso di padre in figlio, di sudore e fatica, il 31 dicembre le porte si sono chiuse, spazzando via i sogni per il futuro, il Museo del mare, i corsi per la sicurezza e l’aggiornamento ed una vita di impegno.

Rosaria Brancato