Un anno fa l’inchiesta di Panorama sulla Galassia della formazione alla siciliana

E’ trascorso un anno. Il 27 luglio del 2012 un’inchiesta di Panorama accendeva i riflettori sulla galassia degli Enti di formazione in Sicilia, divenuti, col tempo, come dichiarò in quei giorni il deputato Pino Apprendi, una sorta di bancomat clientelare.

Un’estate rovente, quella dello scorso anno, scandita dalle polemiche in piena campagna per le regionali. A novembre scoppiò ufficialmente il primo caso, quello dell’Ancol. A seguire vennero tutti gli altri, sia a livello regionale, come il Ciapi, che locale, Aram e Lumen.

In realtà la vicenda segue due binari paralleli: da un lato c’è la Regione, che ha, in seguito a inchieste e denunce (alcune presentate dallo stesso Crocetta e dall’assessore Scilabra) congelato fondi, bloccato Enti, mentre l’Unione Europea chiudeva i rubinetti, e dall’altro la magistratura, con i provvedimenti restrittivi.

Il 10 novembre 2012 finisce sotto inchiesta per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche l’ex assessore comunale alla viabilità della giunta Buzzanca, Melino Capone (Pdl), nella qualità di ex commissario regionale dell’Ancol. Secondo l’accusa l’Associazione nazionale delle Comunità di lavoro, onlus senza scopo di lucro, avrebbe percepito indebitamente 13 milioni e 600mila euro dalla Regione Siciliana dal 2006 al 2011. All’Ancol Sicilia nel corso degli anni erano stati assunti numerosi parenti di esponenti politici. In realtà a Capone già dal 2005 era stata revocata la carica di commissario regionale dell’Ancol dalla sede nazionale ma lui aveva continuato ad operare. I fatti, tra l’altro, erano stati anche segnalati alla Regione spiegando come a Capone fosse stata revocata la carica e che in Sicilia non esistevano più sedi regionali dell’Ancol. La lettera però, secondo quanto accertato dai finanzieri, fu archiviata frettolosamente a Palermo, senza darne comunicazione ai dirigenti della Regione. L’ex assessore pertanto continuò a presentare progetti formativi regolarmente finanziati, dal 2006 al 2011, dalla Regione per un totale di 13 milioni e 600 mila euro. Le indagini hanno accertato che Capone ha assunto il padre, con uno stipendio medio di 3500 euro mensili, la madre, il fratello, la moglie del fratello e tre cugini. Ma hanno ottenuto un posto di lavoro nell’ente anche mogli e familiari di vari esponenti politici tutti della stessa area politica dell’ex assessore. Tra gli assunti anche la moglie dell’ex sindaco Giuseppe Buzzanca, Daniela D’Urso. Quando scoppiò il clamore, a novembre, Capone non era più assessore, dal momento che a fine agosto, con le dimissioni di Buzzanca, che stava per candidarsi alla Regione, il Comune è stato commissariato.

L’autunno, l’inverno, la primavera successive sono state scandite da tutte le altre inchieste, da Messina a Palermo, passando per Catania, sui singoli Enti di formazione.

Alla Regione, sull’onda delle polemiche, vengono bloccati i fondi, “congelati Enti” e all’Ars si dà il via libera alla norma antiparentopoli (che in queste ore è all’attenzione della commissione prima del voto dell’Aula).

La magistratura non ha mai smesso di lavorare ed a fine giugno, con la richiesta di proroga d’indagine, arriva il terremoto: 11 indagati dalla Procura per associazione a delinquere finalizzata al peculato, alla truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Nel mirino anche le compravendite o le cessioni di rami d’azienda tra i vari Enti negli anni 2007-2013. Tra gli indagati il parlamentare del Pd Francantonio Genovese, il cognato, Franco Rinaldi, deputato regionale Pd, la moglie di Genovese Chiara Schirò e la sorella Giovanna Schirò, la sorella di Genovese Rosalia Genovese, Marco Lampuri, Nicola Bartolone, Grazia Feliciotto, Salvatore Natoli, Roberto Giunta e Concetta Cannavò ( tesoriera del Pd che successivamente si è dimessa). L’inchiesta riguarda, tra gli altri, gli Enti di formazione Aram e Lumen. Due settimane dopo, oggi, gli arresti, tra le quali alcune delle persone finite al centro delle indagini di questi mesi, come Melino Capone, Grazia Feliciotto (ed il marito Elio Sauta ex consigliere comunale), Chiara Schirò, Daniela D'Urso, Nicola Bartolone, Concetta Cannavò.

I tre centri di formazione, paradossalmente vicini ad alcuni esponenti delle due aree politiche opposte, Pdl e Pd, sono al centro delle indagini. I Ai domiciliari sono le due mogli dei due ex sindaci degli ultimi 8 anni, Giuseppe Buzzanca e Francantonio Genovese. Dal 2005 ad oggi, con vicende alterne e due commissariamenti (per motivi diversi), Buzzanca e Genovese hanno guidato Messina. Le loro mogli, Daniela D’Urso e Chiara Schirò, sono state raggiunte oggi dai provvedimenti restrittivi, coinvolte nella stessa inchiesta-terremoto che riguarda gli Enti di formazione.

E’ trascorso un anno, anzi era il 27 luglio 2012, quando l’inchiesta di Panorama (ma chiaramente i magistrati erano già al lavoro) del giornalista Antonio Rossitto accendeva i riflettori sulla formazione alla siciliana (Vedi articolo correlato), dove nel solo 2012 erano attesi dall’Unione europea 455 milioni di euro.

Panorama parlava di vera e propria “galassia familiare”, spiegando come al leader del Pd facessero riferimento, attraverso parenti e persone vicine, “4 società, che nell’ultimo anno hanno incassato quasi 2 milioni di euro di conti pubblici”. I nomi degli Enti emersi dall’inchiesta giornalistica sono via via finiti al centro delle indagini della magistratura. L’Aram, ad esempio, che aveva incassato per i corsi 3 milioni e 400 mila euro, guidata dall’ex consigliere comunale Pd Elio Sauta (la moglie è Grazia Feliciotto, indagata a giugno), la Lumen un milione di euro. Nell’inchiesta veniva citata l’Ancol di Capone, ma anche l’Ial, l’Anfe.

Nelle stagioni successive quasi tutti gli Enti citati sono finiti sotto i riflettori della magistratura, dell’Unione europea, della Regione stessa che ha bloccato i fondi. E’ trascorso un anno, scandito da polemiche, scontri in Aula. Nel frattempo il quadro che è venuto fuori è quello di una Regione (e di una città, Messina) che non ha saputo cogliere un’occasione, trasformando un’opportunità di sviluppo e di crescita, una finestra di vita per i nostri giovani, in un sistema vecchio come il mondo, che serviva solo ad autoalimentarsi. Certo, fa clamore, che le mogli dei due ultimi ex sindaci, di segno politico opposto, siano uniti dalla stessa inchiesta, ma è la prova di un sistema che si è ammalato e che ha trasformato i fondi dell’Unione Europea e della Regione da strumenti di crescita in tutt’altro, una sorta di gabbia per non cambiare mai.

Rosaria Brancato