Un graffito sul muro della fiera. Tensione tra gli occupanti e le Forze dell’Ordine

Il graffitismo non è un crimine, è arte. Potrebbe essere questa la morale dell’episodio che ha coinvolto carabinieri ed occupanti del Teatro in Fiera. Gli attivisti hanno deciso di ripulire la facciata del Teatro. Dopo averla completamente imbiancata, eliminando scritte inutili e restituendole l’originario decoro, si apprestavano ad aggiungere il nome “Pinelli”, essendo stato così ribattezzato il teatro per volontà assembleare dopo l’occupazione del 15 dicembre scorso. Ma gli artisti che si erano offerti di eseguire l’opera non sono andati oltre la “P”. Sono stati interrotti, infatti, da due volanti dei Carabinieri, probabilmente allertati da qualche residente dei palazzi situati di fronte al quartiere fieristico.

Gli uomini dell’Arma hanno manifestato l’intenzione di portare gli autori del gesto in Questura per l’identificazione, solo il sopraggiungere degli altri attivisti e la loro successiva mediazione ha evitato il peggio. Gli attivisti hanno spiegato che gli artisti erano semplici esecutori di una volontà collettiva, per cui non potevano rispondere solo loro di un eventuale reato. L’episodio si è risolto con un compromesso: nessuno è stato identificato, ma il pomo della discordia – la “P” di “Pinelli”- è stato cancellato. Per il momento. Perché i membri dell’assemblea permanente sollevano all’attenzione della cittadinanza e delle istituzioni due questioni: una politica e l’altra artistica. Quella politica riguarda lo statuto di un luogo occupato, sicuramente diverso da quello di un qualsiasi condominio privato. “Scrivere sul muro di un edificio liberato non è vandalismo, ma un atto comunicativo di apertura al resto della città” – scrivono gli occupanti nel comunicato redatto per l’occasione – “Un atto d’amore verso un luogo da troppi anni abbandonato nel degrado e nell’indifferenza. Un luogo, che anche attraverso il colore e la vernice, vive di nuovo”.

“Quella di comunicare all’esterno, anche attraverso il grafitaggio, è un’esigenza politica di ogni luogo occupato”, ci spiegano. E sottolineano come: “a sfregiare e delegittimare questo spazio, non è l’arte, ma le autorità che l’ hanno lasciato morire”. Volendo far notare, così, il paradosso di tutta la situazione. Ovvero essere fermati dalle Forze dell’Ordine per una scritta sulla facciata, mentre l’interno è ancora deturpato dalle macerie di un crollo di diciassette anni fa, di cui nessuno si è più preoccupato. Almeno fino alla riapertura del Teatro da parte di un gruppo di attivisti. Un mondo al contrario quello dove è l’arte a fare scandalo, piuttosto che la cattiva amministrazione. Per questo gli occupanti del Pinelli non si arrendono, anzi, rilanciano, organizzando entro la prima metà di gennaio un’intera giornata dedicata alla street art.

I writing, intanto, approfittano dell’occasione per sottolineare anche un altro problema. Forse diverso dal primo, ma a ben vedere strettamente connesso. Quello della negata legittimità artistica di questa forma espressiva. In Italia in generale – le leggi contro il graffitismo nel nostro paese si sono inasprite negli ultimi anni – e a Messina in particolare. Se nelle altre città della penisola dal 2002, malgrado le restrizioni ancora vigenti dal punto di vista giuridico, sono stati riservati ampi spazi per la realizzazione dei graffiti, riconoscendoli come forme d’arte a tutti gli effetti, da noi niente di tutto questo è stato mai realizzato. Messina resta, anche in questo caso, distante dalle innovazioni. Nel mirino degli attivisti che hanno riaperto il Teatro in Fiera c’è – tra l’altro – anche questa sorta di proibizionismo artistico.