To be or not to be di Maria Letizia Compatangelo in scena al V. Emanuele sino a domenica

TO BE OR NOT TO BE di Maria Letizia Compatangelo dal soggetto originale di Melchior Lengyel per il film “Vogliamo vivere” di Ernst Lubitsch. Regia di Antonio Calenda. Scene di Pier Paolo Bisleri. Costumi di Stefano Nicolao. Luci di Nino Napoletano. Musiche di Pasquale Filastò. Le canzoni “Il teatro della vita” e “Il cielo su Varsavia” sono di Nicola Piovani. Con Giuseppe Pambieri, Daniela Mazzucato, Stefano Bembi, Francesco Benedetto, Carlo Ferreri, Ilaria Zanetti, Raffaele Sinkovic, Luigi Rizzo, Paolo Cartago, Paolo De Paolis, Filippo Cattinelli, Gianfranco Candia, Daniela Di Bitonto, Jacopo Venturiero. Umberto Bertolani, Luciano Pasini, Fulvio Falzarano, Francesco Gusmitta. Prod. : Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia.

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I naazisti, la gestapo, le SS per il loro incedere macchinalmente come burattini e per il loro esprimersi come dei robot, sono stati messi alla berlina da tanto cinema e teatro. Uno degli esempi più illuminanti è stato il soggetto To be or not to be del noto drammaturgo ungherese Melchior Lengyel, da cui Ernst Lubitsch ne ricavò nel 1942 il delizioso film, Vogliamo vivere, emulato più tardi, nel 1983, da un remake di Mel Brooks titolato Essere o non essere. Adesso Maria Letizia Compatangelo, avendo avuto i diritti teatrali dagli eredi di Lengyel, ha adattato per il palcoscenico il soggetto originario ricavandone una brillante commedia che ha l’andamento d’un tourbillon, grazie pure alla dinamica e acuta regia di Antonio Calenda, alle funzionali scene di Pier Paolo Bisleri e ai costumi di Stefano Nicolao. Si mescolano in questo riuscito spettacolo i temi “doppi” di finzione e realtà, di vita e sogno, del teatro nel teatro, che appassionano lo spettatore facendogli vivere in modo interattivo ciò che succede sulla scena. Come è successo, credo, nell’assistere ad alcuni film dove quei bellimbusti in verde divisa con svastica al braccio e dai toni sempre marziali, sono stati ridicolizzati e sbeffeggiati: vedi Train de vie del rumeno Radu Mihaileanu, incentrato su un intero villaggio di ebrei che riesce ad allestire un intero convoglio ferroviario e raggiungere il confino URSS e da lì la terra promessa, o il recente surreale Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino, in cui un gruppo di soldati ebrei non solo scotennerà i militari tedeschi ma farà scoppiare un cinema parigino mandando al creatore Hitler e i suoi più fidi seguaci.

Lo spettacolo di Calenda, che ha inaugurato la nuova stagione del Vittorio Emanuele di Messina, con accoglienza calorosa del pubblico, è ambientato a Varsavia durante l’occupazione nazista della Polonia. E racconta d’una compagnia teatrale che avendo dovuto interrompere, per ovvi motivi, il dramma Gestapo, si trasforma in un gruppo di resistenza, utilizzando le esperienze maturate in teatro. Così l’attore principale Ian Tura, vestito da un esuberante e impeccabile Giuseppe Pambieri in un ruolo a lui congeniale, tornerà ad interpretare il monologo di Amleto, appunto To be or not to be, suo cavallo di battaglia, riuscendo a smascherare tra tanti pericoli una spia vicina al Führer, il professore Druginsky, del subdolo Umberto Bortolani, facendolo ammazzare in scena dai partigiani e camuffandosi proprio in quei panni professorali per un incontro decisivo col colonnello nazista Ehrhard dell’ottimo Fulvio Falzarano. Il celebrato verso, torna ancora come un refrain, coinvolgendo la moglie e attrice di Ian Tura, Maria, cui dà vita una charmante Daniela Mazzucato, artefice pure d’un paio di belle canzoni da operetta di Nicola Piovani, e al pari di un’ ape regina farà innamorare di sé chiunque l’avvicini, in particolare il tenente pilota Sobinsky (Jacopo Venturiero). E ancora, quel verso servirà come parola di riconoscimento per i partigiani e provocherà una serie di clamorosi equivoci che culmineranno nella fuga di tutta la compagnia in Inghilterra, nientemeno che sull’aereo personale di Hitler.- Gigi Giacobbe