“Buchettino”, le origini del racconto

Una casetta costruita nel retropalco, cinquanta lettini, un lampadina accesa, un libro, la lettura. In un ambiente abituale per secoli, l’arte del narrare espressa nelle condizioni più elementari: ad un’interpretazione potente si aggiungono gli effetti sonori, la pioggia battente, uno strascinare di catene, le urla, l’alterazione dell’audio di un microfono. Va in scena “Buchettino”, variante toscana della notissima favola di “Pollicino”. Tutti comodi sotto le coperte: i bambini e la magia del Teatro.

L’acclamata Socìetas Raffaello Sanzio porta per la prima volta in Sicilia lo spettacolo tratto da “Le Petit Poucet” di Charles Perrault, un lavoro in scena dal 1995 per tutta la penisola tra un coro unanime di lodi. Nel maestoso palco del Teatro Vittorio Emanuele prende dunque il via l’esperimento del Teatro dei Ragazzi, progetto in collaborazione con “L’Atelier” di Corrado Russo volto a rendere familiare ad un pubblico in età scolare una magia lentamente ridotta ad esotica manifestazione di un mondo lontano. Si succedono le generazioni, cambiano gli stimoli, le emozioni e le ambizioni: interrogarsi sul pubblico del domani per studiare la contemporaneità, informarsi per poter formare. Spettacolo semplicemente perfetto, “Buchettino”, fin nel più insignificante dei dettagli: la disposizione dei lettini, le pareti scosse dall’esterno, il terriccio e i rumori di fondo nel lavoro di Romeo Castellucci e la magnifica interpretazione della narratrice Monica Demuru, tutti elementi preziosi di un allestimento elegantemente diretto da Chiara Guidi. Probabilmente superfluo il parere del recensore, fondamentale quello dei bambini presenti: in silenzio per un’ora ad ascoltare un adulto trattare di tematiche come la miseria, l’abbandono, la vendetta, argomenti carsicamente dissimulati dall’avventuroso fluire di una favola a lieto fine. In certi casi l’entusiasmo è scontato, ma in gioco non vi è solo un semplice intrattenimento. Il piccolo Gregory degli “Anni in tasca” cadeva dalla finestra per poi riprendere placidamente a giocare: forse troppo lontana la leggerezza dai bambini di oggi, quando l’interesse generale è spesso rivolto unicamente nella scontata promozione della società dei consumi.

La lettura di una favola, dunque, dolce consolazione, semplice evasione o claustrofobica prigione. Il merito di aver pensato al Teatro dei ragazzi, l’obbligo di dover sempre ripensare ad un Teatro per i ragazzi. Inutile porsi domande retoriche: il seme piantato darà i suoi frutti, ma la strada appare irrimediabilmente in salita.

Domenico Colosi