Scroscianti applausi per Alberto Ferro e l’Orchestra del Teatro

Venerdì scorso con replica domenica, il pianista Alberto Ferro ha eseguito, con l'Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele diretta da Davide Galaverna, un programma assai fitto, ben due concerti per pianoforte e orchestra, tra l’altro fra i più difficili ed impegnativi della letteratura musicale riservata a questo organico, il Concerto per pianoforte e orchestra n.4 in sol maggiore op.58 di Ludwig Van Beethoven e il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in si bemolle minore, op. 23 di Piotr Ilic Ciajkovskij. Avevamo già avuto l’occasione di ascoltare il ventiduenne pianista siciliano l’anno scorso, sempre con la stessa orchestra diretta da Davide Galaverna, nell’esecuzione del Concerto per pianoforte e orchestra n. 21 K 467 di Mozart, anch’esso un “must” del repertorio di genere, e Ferro destò parecchia impressione per la precisione e nitidezza del fraseggio e la intensità dell’interpretazione. Nell’esecuzione offerta in questa occasione – ho assistito alla replica di domenica, con il teatro abbastanza gremito, a differenza, mi hanno riferito, della prima di venerdì – le impressioni risultano complessivamente confermate. La sua esibizione è stata preceduta dalla sola orchestra con l’esecuzione dell’Ouverture “Egmont” di Beethoven. Si tratta di un brano composto da Beethoven per introdurre il dramma di Goethe, dal carattere prettamente romantico, appassionato, con una esplosione finale di giubilo, ove l’orchestra, protagonista comunque di una dignitosa performance, ha mostrato qualche limite in particolare nel reparto degli ottoni, a volte imprecisi e con una ridotta capacità di modulare dal piano al forte – non si tratta di critica, semmai è la conferma che questa orchestra, comunque una bella realtà cittadina, ha bisogno più che mai di esercitarsi e di eseguire in pubblico – limite che è apparso chiaro anche durante l’esecuzione del concerto beethoveniano.

Nel Concerto n. 4 di Beethoven la critica dominante suole vedere la nascita del concerto moderno per pianoforte e orchestra. Già nel 1808, anno in cui fu eseguito per la prima volta il concerto a Vienna, la Gazzetta musicale universale di Lipsia lo definì “Tutto ciò che vi è di più strano, di più originale e di più difficile”. In effetti siamo di fronte ad un capolavoro che stravolge i soliti dettami caratteristici di questo tipo di concerto; infatti il pianoforte che inizia il primo movimento – “Allegro moderato” – da solo, con l’enunciazione di un bellissimo tema lirico, mentre all’orchestra è affidato il secondo tema più ritmico, inverte letteralmente i canoni tradizionali; ma soprattutto il dialogo fra lo strumento solista e l’orchestra, non più in contrapposizione ma in perfetta armonia, l’uso costante della variazione del tema, il ricorso frequente al trillo, tutte caratteristiche proprie dell’ultimo Beethoven, e da ultimo il carattere eminentemente lirico fanno di questa pagina uno dei vertici della musica romantica e non solo. Stesso discorso vale per il secondo movimento “Andante con moto” molto breve ma intensissimo, con una splendida partitura pianistica intrisa di cromatismo, e il “Rondò – Vivace” conclusivo, una pagina brillante, sorprendentemente leggera, luminosa, diversa da tutti gli altri rondò del musicista tedesco. Con il quarto concerto Beethoven porta a compimento l’evoluzione del genere messa in atto da Mozart – il primo che fece dialogare piano e orchestra in un discorso unitario – con i suoi straordinari ventuno concerti, e nello stesso tempo getta le basi del concerto moderno, al quale tutti i musicisti posteriori saranno debitori. Il popolarissimo Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in si bemolle minore, op. 23 di Ciajkovskij ha occupato tutta la seconda parte dello spettacolo. Discusso dai suoi contemporanei – non piacque per nulla al maestro Anton Rubinstein, al quale originariamente il concerto era stato dedicato – non privo di difetti, di momenti retorici, di alcuni passaggi di virtuosismo un po’ fine a se stesso, il concerto in si bemolle minore contiene tuttavia alcuni temi fra i più ispirati del musicista russo, i più tipicamente “Ciajkovskijani”, e presenta una “Introduzione Allegro non troppo e molto maestoso” al primo movimento che costituisce ancora oggi uno dei temi più celebri e popolari dell’intera letteratura musicale, tale da far identificare spesso il compositore con questo tema. Tutto il primo movimento – “Allegro con spirito” – è ricco di meravigliosi spunti melodici, alternati a fraseggi di ardua difficoltà tecnica – è richiesta in particolare una notevole flessibilità nei polsi – difficoltà presenti anche nei restanti movimenti: il secondo – “Andantino semplice” – “Prestissimo”, ove lo sfrenato virtuosismo del “Prestissimo” è preceduto da una soave pagina cantabile, di carattere sognante; il terzo – “Allegro con fuoco” – con un tipico tema di danza russa, alternato ad un altro magico tema frutto di pura ispirazione, che conclude in maniera travolgente il concerto. L’esecuzione dell’orchestra del Teatro Vittorio Emanuele è apparsa più a suo agio con il concerto di Ciajkovskij, mentre nel concerto di Beethoven talora ha avuto la tendenza a “sovrastare” il pianista, il quale a sua volta, forse proprio per questo motivo, è sembrato anch’egli aver dato il meglio di sé nel concerto del musicista russo.

Alberto Ferro ha esibito tutte le sue eccezionali doti tecniche ed interpretative, un pianismo essenziale, sempre limpido, composto anche nei passaggi più virtuosistici. Grande padronanza della tastiera in entrambi i concerti, eseguiti interamente a memoria. Sobria e precisa la direzione del maestro Davide Galaverna, distintosi ancora una volta, come abbiamo rilevato anche l’anno scorso, per una felice scelta dei tempi. Entusiasta il pubblico, al quale il pianista ha concesso, come bis, due brani russi: un “Morceaux” di Sergej Rachmaninov e il graziosissimo “Carillon” di Anatoly Liadov, un brano col quale il pianista si è congedato augurandoci una buona serata. Noi invece ci auguriamo di rivederlo quanto prima nel teatro messinese.

Giovanni Franciò