Dieci piccoli indiani. E non ne rimase nessuno

Dal ben noto capolavoro letterario di Agatha Christie, pubblicato nel 1939 con il titolo E non ne rimase nessuno, Gianluca Ramazzotti, per Ginevra s.r.l., ha prodotto il suo interessante progetto scenico – in collaborazione con Ricard Reguant – impreziosito dalle eccellenti scene di ambientazione art-deco di Alessandro Chiti e dai pregiati costumi, perfettamente curati, di Adele Bargilli.

I due atti tratti dal testo della grande scrittrice, tradotti con precisione da Edoardo Erba, sono stati diretti magistralmente dallo stesso Ricard Reguant. È ancora vivida in noi la memoria della eccellente opera cinematografica del meritorio Renè Clair, così come quelle successive, che, certo meno egregiamente, hanno ripreso il plot del soggetto, con rimandi a contesti più recenti. L’intitolazione italiana dell’opera letteraria “E non ne rimase nessuno” è la traduzione quasi fedele dell’originaria seconda versione And then there were none, poi modificata nel 1977 con quella, dotata di più evidente musicalità, Dieci piccoli indiani adottata poi nel resto del mondo con l’eccezione americana. Per debito di verità letteraria ricordo che la prima versione del titolo in Inghilterra era Ten little Niggers (Dieci piccoli negri) che peraltro richiamava il primo verso della filastrocca leit-motiv del romanzo (in realtà una canzone americana riferibile a Septimus Winner e datata 1868) il cui primo titolo, appunto Ten Little Niggers, per evitare offese alla sensibilità delle persone di colore, fu mutato in Ten Little Indians. Il soggetto è ben conosciuto e quasi banale nella sua perfezione: dieci individui fatti giungere, attraverso lettere d’invito, misteriosamente su un’isola deserta, sono, uno ad uno, uccisi, con connesse accuse vicendevoli, sino a che non rimane in vita proprio nessuno. L’individuazione del mittente delle missive, coincidente con l’assassino dei nove soggetti, e che al fine si dà la morte, è in grado di generare intrigo e suspense, trovando la punta dell’iceberg nel finale spiazzante. La filastrocca infantile – che si ode in sottofondo fin dall’apertura della piece, ed è poi affissa anche sugli specchi -scandisce una ad una quelle morti, anticipandole e sottolineandole, in uno all’utilizzo dei birilli, e, fornendo indizi sottesi, crea un’atmosfera di pervasiva angoscia e induce una magica regressione nello spettatore, che diviene anche intimamente partecipe della condanna di ognuno dei dieci individui (che solo apparentemente sembrano sicuri di sé ) chiara sin dal momento del loro arrivo nella destinazione fatale. L’adattamento della trasposizione teatrale dell’opera letteraria, operato nel 1943 dall’autrice, non è seguito in questa versione, e non si addiviene a quel lieto fine controverso dell’originaria stesura, mantenendo – per fortuna – il finale tragico del romanzo.

Epoca di riferimento della rappresentazione sono gli anni 40, con sapiente uso di colorazione scenografica in bianco/nero. L’enigma di fondo si dipana fra i due contraddittori poli di colpa e innocenza, con evidenti rimandi alla tragedia greca e all’opera Delitto e castigo di Dostoevskij. In questo caso sono la classe borghese e l’aristocrazia a incontrarsi e scontrarsi in una sorta di arena, il cui premio è rappresentato da una auspicata sopravvivenza, arrivando a distruggersi l’un l’altro. La stessa Christie diviene per così dire carnefice delle sue creature letterarie, in una specie di evasione dal contesto reale in cui Ella si muoveva nella società inglese del periodo, anche allora pervasa da esseri volgari e ordinari. Il colpevole degli omicidi che, terenzianamente, punisce anche se stesso, si fa espressione e braccio armato della nemesi, ergendosi a strumento del giudizio universale, e rappresenta anche il forte senso di colpa, sia proprio che degli altri nove personaggi, per accadimenti che hanno generato dolore e morte, ognuno corrispondente a peccati differenti, nei consimili.

Toccanti infine tutte le interpretazioni di un cast d’eccezione, che citerò in ordine di ingresso in scena: Giulia Morgani e Tommaso Minniti, alias i signori Rogers, rispettivamente governante e maggiordomo; la splendida Caterina Misasi nei panni dell’enigmatica bambolina, la segretaria Vera Claytorn, bella e molto bon ton; Pietro Bontempo è poi il capitano Lombard, Leonardo Sbragia l’avventuriero Antony Marston, Mattia Sbragia il pittoresco detective Blore; l’eccelsa Ivana Monti, quasi irriconoscibile, dà il volto e la parola all’austera e bigotta Emily Brent; Luciano Virgilio, ancora, è nella parte del potente giudice Wargrave, Alarico Salaroli dell’inquietante generale Mckenzie e, infine, Carlo Simoni del dott. Armstrong, gran luminare. Meritatissimi gli scroscianti applausi di un uditorio numeroso e attento nelle rappresentazioni della settimana scorsa presso il Teatro cittadino.

Tosi Siragusa