Le donne, prima di tutto, le avventure galanti, gli intrighi, le menzogne. Nessun Dio per il libertino Don Giovanni, solo un 2+2=4 a segnare un’esistenza condotta sempre al limite: la ricerca del piacere, la bocca svincolata dal cuore, una corsa a perdifiato verso la rovina, Inferno e Paradiso parole prive di significato. Intorno una società triste, bigotta: una finta conversione, l’ipocrisia come estrema opportunità per redimersi agli occhi del mondo, ennesima beffa prima del rogo finale. L’edonismo a fare da filo conduttore alle vicende picaresche del nobile spagnolo, tra spose presto dimenticate, duelli, vendette, avventure esotiche e noia: una questione di temperamento la necessità di spezzare l’ordine costituito con la passione per l’effimero. Cupio dissolvi o guerra contro tutti i luoghi comuni, con una religione divenuta sterile superstizione dove ogni mistero ha bisogno di goffe spiegazioni per essere compreso: la salvezza solo nella soddisfazione del proprio ego una volta dismesse le opprimenti camicie di forza della virtù.
Un’enorme cornice a contornare il ritratto della società occidentale: gioco di scambi e rimandi il “Don Giovanni” di Molière messo in scena da Alessandro Preziosi, rapido nei dialoghi, privo di paludamenti o macchiettistiche derisioni. Prova attoriale perfetta quella dell’attore e regista napoletano, sottolineata dagli applausi a scena aperta del Teatro Vittorio Emanuele: accelerazioni e rallentamenti in un’inappuntabile scelta di tempi per esaltare la complessità di un testo in grado da quattrocento anni di rivelare nuove sfumature sulla condizione umana. Sullo sfondo uno schermo interattivo a mostrare i cambi di scena e a far da contrappunto alle vicende narrate: saggio uso per una tecnologia messa a servizio della narrazione, semplice supporto alla brillante prova degli attori. Dai mexican standoff studiati dal regista per i primi atti (quando lo sviluppo della trama si impone sulle motivazioni) ai semplici movimenti controllati dell’epilogo, traspare costantemente l’esigenza di un disegno unitario che leghi senza scossoni azione e parola: lo scopo del Teatro, dopotutto, centrato con elegante semplicità. Da sottolineare tra le interpretazioni quella di Nando Paone nel ruolo del
La semplice addizione, dunque, metafora di un credo e dello stesso spettacolo: ogni cosa ritrova il suo posto senza frizioni, con i necessari ammodernamenti sapientemente gestiti all’interno di un disegno compatto; nessun deja-vu, solo nuove domande da sorteggiare tra tutte le risposte scontate che attraversano il nostro tempo.
Domenico Colosi