La perfezione a Teatro: Branciaroli incanta con gli enigmi esistenziali di “Enrico IV”

Un sole crepuscolare riscalda pallidamente la rivelazione di una pazzia immaginata ed autoimposta, fuga dalla realtà per rinunciare al “banchetto bell’e sparecchiato” della vita, raggiro perpetrato per spiare reazioni, meschinerie, altri identici, ma abituali, inganni. Una burla, dunque, si dicono in coro i consiglieri del re, costretti a vivere nel 1100 con un canovaccio fisso, immutabile. Un’occasione sprecata, secondo Enrico IV, una delle tante di una mascherata senza fine. Nessuna speranza all’orizzonte, la burla può protrarsi all’infinito.

Allievo del grande scrittore e drammaturgo Giovanni Testori ed interprete per i più noti registi del ‘900, da Aldo Trionfo a Luca Ronconi, Franco Branciaroli prosegue il suo lavoro di ricerca teatrale con l’“Enrico IV” pirandelliano, passaggio fondamentale nella produzione drammaturgica del premio Nobel agrigentino. Nello spettacolo andato in scena al Teatro Vittorio Emanuele ogni cosa ritrova sempre il proprio posto in una messinscena che cresce per intensità e vigore con il succedersi degli atti: Branciaroli rispetta il testo pirandelliano con la saggezza dei grandi maestri senza abusare di facili istrionismi, sempre puntuale nelle scelte registiche ed elegante nell’interpretazione. Tra le splendide scenografie cavalleresche allestite da Margherita Palli, spiccano le prove di Giorgio Lanza (nei panni di un arrogante Belcredi) e Antonio Zanoletti (il dottore), in uno spettacolo privo di inutili manierismi, pregevole anche nei minimi dettagli.

Elogio della follia come porto sicuro in un mare in tempesta, estremo rifugio per sfuggire alle amarezze di una vita di competizione e menzogne. Branciaroli porta in scena Pirandello per la prima volta in carriera con l’unico desiderio di aprire ancora una volta una riflessione sul mestiere dell’attore, sul teatro, sullo stesso senso di ogni esistenza umana: un testo senza tempo per un enigma senza alcuna soluzione.

Domenico Colosi