Classifica del nepotismo in Ateneo: Messina è ottava su 84 università

L’Accademia delle parentele. Sono sotto il naso di tutti, ma ogni tanto ci viene rinfrescata la memoria dalle inchieste, o dalle classifiche su una qualità dell’offerta o della ricerca che disegnano Atenei non all’altezza. Adesso c’è anche chi sul nepotismo ha provato a fare statistiche e studi, come Stefano Allesina, dell’Università di Chicago (uno dei tanti cervelli con il cognome sbagliato, in fuga dall’Italia) che ha creato un programma per correlare in modo scientifico due dati: le docenze e i cognomi uguali nello stesso ateneo. Una ricerca finanziata dalla National Science Foundation ed è stata pubblicata sulla rivista scientifica PLoS ONE con il titolo Measuring Nepotism through Shared Last Names: The Case of Italian Academia. Per misurare la diffusione reale del nepotismo tra le università italiane il ricercatore ha utilizzato un database del Ministero dell’Istruzione contenente nomi e cognomi di oltre 61.000 professori e ricercatori occupati in 84 sedi universitarie, verificando poi la “frequenza” di alcuni cognomi rispetto ad altri. Più di 27.000 cognomi distinti ricorrono più spesso di altri nello stesso settore. Su questa base il professor Allesina ha creato un programma che esegue un milione di estrazioni casuali per scoprire la probabilità di ottenere la stessa frequenza riscontrata nel data base. La ricerca si è soffermata sia sulle singole università che sui diversi settori disciplinari e ad esempio la più alta percentuale di nepotismo è stata registrata in Legge, Medicina, Geografica, Pedagogia, Ingegneria industriale. assunzione nepotistiche. Lo studio è andato oltre, perché ha verificato anche il tasso di nepotismo tra Nord e Sud, con una percentuale più alta man mano che si va verso il Meridione.

Per chi avesse dubbi e non fossero bastate le inchieste giornalistiche, i servizi delle Jene e le indagini giudiziarie, l’Università di Messina è ottava per nepotismo su 84 Atenei.

La “palma d’oro” spetta alla Libera Università Mediterranea Jean Monnet Casamassima di Bari, seguita da quelle di Sassari, Cagliari e dalla Suor Orsola Benincasa di Napoli. Gli Atenei siciliani si piazzano subito dopo il podio, con Catania quinta e l’Uke di Enna sesta, segue l’università della Calabria e poi Messina.

Per trovare un ateneo del centro-nord dobbiamo arrivare al 15esimo posto di Modena e Reggio Emilia, mentre San Raffaele di Milano è al 25esimo.

In realtà questa ricerca ha un piccolo “neo”: si basa sulla frequenza dello stesso cognome, non potendo, per ovvi motivi, individuare la parentela in senso più ampio, perché ad esempio madre e figlio non hanno lo stesso cognome e neanche zio e nipote quando il nipote è figlio della sorella del docente. E per la verità non può naturalmente indicare nessuna forma di “parentela allargata” nella variopinta geografia del cuore e dell’amore umano. Ma già individuare un tasso di nepotismo basando sul criterio più evidente è un elemento che fa riflettere.

E’ chiaro che nessuno può mettere in dubbio “il genio” che si tramanda di padre in figlio, ma quando le forme di baronato avvengono nella stessa Università e attraverso canali di selezione pubblica in barba ad ogni meritocrazia e democrazia, si sconfina nell’intollerabile. La conseguenza peraltro la paga l’Università stessa, abbassando l’asticella della qualità verso il basso e soprattutto diventando poco appetibile per chi non ha il cognome giusto ma solo il cervello e il talento.

Non stupisce il fatto che questa classifica va di pari passo con un’altra: gli studenti del Sud scelgono le Università del Nord.

Nei feudi dei baroni andare a studiare in un ateneo dove la docenza viene scelta con altri criteri e dove il merito ha diritto di cittadinanza e la qualità dell’offerta è maggiore, diventa una strada obbligata.

La riforma Gelmini, per quanti aspetti negativi avesse, mirava ad incidere anche sui baronati.

L’ottavo posto dell’Università di Messina in questa classifica non ci fa onore, ma non è una sorpresa.

Rosaria Brancato