Messina divisa tra Guelfi e Ghibellini. Non servono martiri o nemici, ma un pacificatore

C’è un punto in cui l’amministrazione Accorinti ha fallito ed è la falla più grave per chi si è presentato per Cambiare Messina: la pacificazione sociale.

A distanza di 3 anni e mezzo lo scontro tra Guelfi e Ghibellini che ha caratterizzato la campagna elettorale del 2013 si è addirittura esasperato, alimentando un clima di odio e disprezzo da entrambe le parti trasformando il dibattito politico in una battaglia tra tifoserie.

Se non sei Guelfo devi per forza essere Ghibellino, e viceversa, in una perenne battaglia tra il bene e il male assoluto. L’altro non è visto come avversario politico, ma come nemico da annientare dapprima umanamente e poi politicamente.

A farne le spese è la città e quelle migliaia di messinesi che non sono né Guelfi né Ghibellini. Questi messinesi, che sono la maggior parte, vorrebbero soltanto una città ben amministrata che guarda al futuro e non ostaggio di un passato che viene brandito come uno spauracchio, come l’uomo nero che se da bambino non vuoi mangiare le verdure viene a prenderti.

Il passato torna solo se lo vuoi fare tornare.

Ma fa comodo a tanti paventare il ritorno del passato come alibi, come se solo a Messina ci fosse l’ineluttabilità di un orologio fermo.

Il dibattito sulla sfiducia ha riportato Messina nel 2013, sembra di assistere al replay dei giorni della campagna elettorale, stesse argomentazioni, stessi slogan.

Da allora c’è stato il tempo e la possibilità, anzi il dovere, di sanare le ferite, di porre le basi di una Messina pacificata, conciliare i messinesi.

Invece non è andata così. L’amministrazione ha trascorso 3 anni e mezzo demonizzando il passato. Anzi addirittura andando a ritroso nel tempo, fino a far pensare che l’ultimo amministratore immune risalga all’epoca della Magna Grecia. In quest’opera di superiorità etica e demonizzazione globale gli elettori del passato sono dipinti come cresciuti a pane e clientelismo, avvezzi alla schiavitù, inclini alla prebenda.

Sgomenta questo immutato clima di odio sociale nonostante la genesi di quest’amministrazione sia stata un’altra: la partecipazione, la condivisione, la rivoluzione interiore che diventa cambiamento esteriore.

Piuttosto che un programma l’amministrazione ha preferito individuare di volta in volta un nemico, si è detta contraria al Ponte, ma ha costruito trincee per separare i buoni dai cattivi, ha tolto i tornelli del Comune ma si è chiusa nelle stanze delle decisioni.

Più passava il tempo e più hanno interpretato il loro come un mandato messianico ed una missione educativa nei confronti dei cittadini. Se punti sempre il dito contro qualcuno, se cerchi sempre di trovare una macchia nell’abito di chi hai di fronte, non fai altro che alimentare un clima di astio.

Persino il linguaggio del dibattito politico è imbevuto di questi veleni: da una parte quelli che vengono definiti “indegni” quando non delinquenti e dall’altra gli “incapaci”. Dal Palazzo questo sottile veleno è uscito fuori, ha raggiunto le strade, trasformando Messina in un enorme ring.

Nel Palazzo da un lato c’è un’amministrazione affetta dalla Sindrome dell’Immacolata concezione, che comporta un’automatica immunità da qualsiasi peccato e di converso, il corollario che chiunque la pensi in modo diverso è un figlio del male. Dall’altro lato c’è un Consiglio comunale che ha fatto del disprezzo verso il sindaco scalzo la sua unica analisi politica, additandolo quando indossa la coperta piuttosto che quando si fa rimborsare le caramelle Golia.

In 3 anni invece di un percorso di pacificazione degli animi abbiamo assistito all’esatto contrario, con i mantra sulle colpe degli altri, di quellicheceranoprima a qualsiasi titolo: come politici, come dirigenti, come giornalisti, sindacalisti, elettori.

E’ toccato a chiunque mettesse in discussione l’operato dell’amministrazione. Persino i due ex consiglieri Nina Lo Presti e Gino Sturniolo sono finiti dalla parte dei cattivi. Questa visione manichea non è terreno fertile per un clima di pace.

La pace nel mondo inizia dal giardino di casa. Inizia quando riconosci l’altro. Il dialogo non si crea puntando il dito. Da buddista so che in ognuno di noi c’è Dio, c’è l’infinita potenzialità del tutto. Non c’è dialogo se vivi ogni critica come un affronto personale, ogni proposta come eticamente inferiore, se disprezzi l’altro perché è un “consigliere indegno” o “un assessore incapace”.

Entrambi, giunta e consiglio si sono guardati dall’alto in basso. Accorinti e i suoi assessori dall’alto della loro santità etica, i consiglieri dall’alto della loro esperienza politica. Nel mezzo i messinesi in una guerra in cui o sei accorintiano o sei antiaccorintiano e se dici che vuoi una terza via ti rispondono che allora vuoi che torni il passato.

Perché, a proposito di un istituto democratico come la sfiducia, che certo non è stata inventata a Messina un mese fa, l’assessore Ialacqua usa addirittura il termine “golpe” che evoca scenari che con la democrazia nulla hanno a che vedere? Perché le uniche argomentazioni sono le stesse del 2013: se sfiduciate Accorinti tornano gli affaristi, i disonesti, la banda Bassotti? Perché questo continuare a spaventare i messinesi con la paura dell’uomo nero se non mangi le verdure? Perché questo continuare a ritenere gli elettori che non votano Accorinti come inclini al clientelismo o incapaci di esprimere un voto eticamente sano?

Messina ha bisogno di un pacificatore sociale che sani le ferite e costruisca senza usare più i verbi al passato. Ci sono migliaia di messinesi onesti, perbene, competenti.

Abbiamo bisogno di una classe dirigente nuova, non avvelenata dall’odio.

Quando si additano genericamente i partiti come “portatori sani” di clientelismo, quando si usano ancora le stesse categorie verbali come “voi volete che tornino Genovese e Buzzanca”, senza parlare di contenuti, si continua a nutrire un clima che vede nell’altro un nemico e non un avversario politico. L’onestà non è un dono divino, è un pre-requisito che ogni persona ha e deve avere. Non è una bandiera, né un alibi o una coperta per nascondere le incapacità.

Nella lettera aperta di Accorinti, al di là della distanza siderale rispetto alla realtà, mi ha colpito la ripetizione degli stessi slogan della campagna elettorale del 2013.

E’ come se sia rimasto prigioniero di sé stesso e dell’immagine che si è costruito.

Un po’ come Dorian Gray l’amministrazione e il cerchio magico sono rimasti prigionieri di quell’immagine del 2013, incuranti del tempo che invece è passato.

Così nelle varie argomentazioni, tralasciando il fatto che sembra quasi che il sindaco abbia già costruito a mani nude il porto di Tremestieri, il secondo Palagiustizia e almeno 7 dei progetti del Masterplan, è quel continuo riferimento al passato, alle macchie degli altri che sgomenta.

E’ questa necessità di farci credere che Messina abbia bisogno di martiri e di nemici, quando invece abbiamo bisogno di un pacificatore che chiuda una stagione di astio e apra la stagione della terza via, quel “terzo tempo” mutuato dal rugby che ancora non abbiamo vissuto.

Rosaria Brancato