L’ultima lezione di libertà del Cardinale Carlo Maria Martini

In vita il Cardinale Carlo Maria Martini è stato un grande testimone di fede e da testimone, nel momento dell’addio, ci ha lasciato un’ultima lezione: di amore per la vita e di rispetto per ll’inviolabilità della libertà di scelta personale.

Quel che il Cardinale pensava dell’accanimento terapeutico lo aveva detto nel 2007 in un articolo scritto dopo la morte di Piergiorgio Welby, il malato terminale di distrofia muscolare che lottò per la sospensione delle terapie. Quel che pensava l’ex arcivescovo di Milano lo ribadì anche nel suo ultimo libro : «Le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona».

Da 16 anni soffriva di Parkinson, negli ultimi anni, dopo un periodo a Gerusalemme, era rientrato in Italia. A metà agosto le sue condizioni si sono aggravate “Non era più in grado di deglutire né cibi solidi né liquidi ed ha rifiutato l’accanimento terapeutico”, ha dichiarato il suo medico Gianni Pezzoli. In parole semplici niente sondino, né peg (gastronomia endoscopica percutanea), né nutrizione forzata.

E’ stato un testimone “scomodo” in vita questo Cardinale che a Milano istituì la “cattedra per non credenti”, che predicava il dialogo tra le religioni, che definiva il preservativo il male minore, che si oppose al ritorno della Messa in latino.

Lo è stato fino alla fine, affermando quel diritto all’autodeterminazione sui trattamenti sanitari che si chiama “testamento biologico” e che in Italia non è diventata legge perché la parola “autodeterminazione” fa più paura della morte stessa. Anche papa Wojtyla , aveva il morbo di Parkinson ed anche nel suo caso i medici dissero d’aver deciso di sospendere ogni forma di accanimento. Il papa sofferente disse: “Lasciatemi andare dal Padre”. Fu ascoltato.

Come ha detto ieri Beppe Englaro: “Non si tratta di eutanasia, ma di autodeterminazione. E’ il diritto di ognuno di poter dire: non m’impedite di morire”.

Il valore del messaggio del Cardinale è la libera scelta, che può essere diversa per ognuno di noi. C’è chi sceglie di non voler alcun ausilio esterno nel momento di fine-vita e c’è chi lo vuole. E la differenza, si badi bene, non è tra cattolici e laici. Lo dimostrano i due casi del Cardinale Martini e di Papa Giovanni Paolo II.

E’ una scelta individuale, personale, rispettabile ed INVIOLABILE.

Il problema è come far sì che in un Paese laico, democratico ognuno possa decidere quale unico padrone della propria libertà ed esistenza. Stiamo parlando di quelle due parole che hanno fatto tremarere il Parlamento più dello spread per timore di perdere i voti dei cattolici: TESTAMENTO BIOLOGICO.

C’è poi un altro aspetto. Il Cardinale ha dimostrato il grande amore per la vita, che comprende, inevitabilmente, anche la morte. I cattolici non dovrebbero avere paura della morte, perché per loro equivale a varcare la soglia verso la vita eterna. L’amore per la vita comprende quell’amore per l’anima che alberga dentro ogni corpo e che vivrà ben oltre quelle singole spoglie, quelle braccia, quei ricordi, quegli odori.

Il 9 febbraio del 2009 l’anima di Eluana Englaro è stata liberata dalla gabbia di fili e macchine che tenevano artificialmente in vita quel che restava del suo corpo. E’ avvenuto mentre l’Italia era stato trasformata in un circo mediatico, un tribunale catodico dove il padre veniva lapidato quotidianamente per il solo fatto di aver lottato per far valere la volontà della figlia. In quei tristi giorni Beppe Englaro è finito sotto processo per omicidio volontario, insieme ad altre 13 persone, medici ed infermieri della clinica La Quiete. Nel gennaio 2010 Englaro è stato assolto da un’accusa infamante e vergognosa per un paese civile. Lui è il padre di Eluana non il suo carnefice, l’ha amata sin dal giorno della nascita e l’ha amata di più in quei 17 anni in cui, dopo l’incidente stradale che l’ha ridotta in coma vegetativo. Ha lottato per la sua libertà di scelta, perché lei non poteva più farlo. Per lei ha sopportato che lo prendessero a sassate, lo portassero in tribunale, lo chiamassero “assassino”, mentre lui combatteva la battaglia di sua figlia. Da solo ha affrontato l’immane ipocrisia di un Paese finto cattolico e battaglie legali che avrebbe potuto evitare facendo come fanno tutti, nel silenzio complice di medici ed infermieri.Per amore della vita ha affrontato l’intolleranza, la mancanza di rispetto, l’invadenza dei mass media. Avrebbe potuto agire diversamente, di nascosto, oppure avrebbe potuto far vedere le foto di Eluana, com’era dopo 17 anni di coma, a quanti sostenevano che poteva ancora partorire, mangiare un panino, bere una coca cola. Persino continuare a tenerla in quello stato sarebbe stato più facile per lui, ma non l’ha fatto, perché quello non sarebbe stato un gesto d’amore.

Chi con coraggio dice no al prolungamento inutile dell’agonia, come hanno fatto il Cardinale, Welby, Englaro, lo fa perché ama la vita che continua, si trasforma, ma continua sempre. Non si ferma quando il cuore cessa di battere o il sondino viene staccato. Lo sapevano Eluana, Piergiorgio, Giovanni Paolo II, il Cardinale Carlo Maria Martini e migliaia di sconosciuti dei quali non vedremo mai i volti, non sapremo mai le storie, le sofferenze gli addii. Forse è arrivato il momento di ascoltarli tutti.

Rosaria Brancato