Tu quoque, Franze, fili mi? Et tu quoque, Richiche? Et tu quoque Bluferrie?

Riguardando oggi l’immagine dell’ accordo sull’ordinanza anti tir, stipulata a Palazzo Zanca in un clima di “ peace and love”, appare una vaga somiglianza con il dipinto dell’Ultima cena, ben al di là del fatto che Renato Accorinti ha la barba come Gesù. Seduti intorno al tavolo della sala Borsellino, con sorrisi soddisfatti e sguardi volti al futuro, c’erano “commensali” che di lì a poco avrebbero fatto come Giuda o come Pietro, che rinnegò tre volte prima che il gallo cantasse. E infatti prima che il gallo annunciasse l’alba del 2014 i firmatari dell’accordo hanno presentato tre ricorsi al Tar, avendo cura di dividerli tra la sezione di Catania (quello di Tourist- Caronte e Bluferries) e quella del Lazio (l’Aias) in modo da guardarsi le spalle. La foto di gruppo scattata dopo la firma, con i presenti sorridenti e inneggianti alla sinergia ed alla collaborazione, somiglia ai ritratti delle grandi famiglie patriarcali dove tutti ammiccano all’obiettivo ma poi i figli si azzannano per l’eredità e le nuore tramano alle spalle.

Quando ho sentito le dichiarazioni di Franza e Richichi, lieti del divieto di transito ai tir in città ho pensato “fatta la legge trovato l’inganno, chissà dove sta la fregatura”, ma l’entusiasmo collettivo era tale che non volevo essere una guastafeste. Vedere i vertici di Caronte e Aias che inneggiano ai divieti di transito, è stato come ascoltare Mc Donalds che dopo le proteste annuncia: “avete ragione, d’ora in poi niente più hamburger, ma solo panini con lattuga, al massimo con il tofu”.

Qualcosa ha stonato già dopo il 28 ottobre, quando l’ordinanza è entrata in vigore parzialmente in attesa del completamento della seconda invasatura, previsto per gennaio 2014, con lo stesso sfegatato ottimismo della riunione di cui sopra. La sensazione è che gli armatori e i camionisti, spenti i riflettori, archiviate le dichiarazioni di giubilo, svoltato l’angolo di Palazzo Zanca abbiano pensato: “Ma sì, lasciamo giocare ancora un pò i bambini, intanto noi facciamo le cose serie” e sono andati dritti dai loro legali per predisporre i ricorsi. Il campanello d’allarme sarebbe dovuto scattare 24 ore dopo l’entrata in vigore dell’ordinanza, quando gli armatori contestarono un aspetto cruciale del sistema delle deroghe. E’ in quel momento che sarebbe dovuta accendersi la lampadina rossa tra i componenti della giunta. Non sto parlando dei conti che non tornano sul fronte ecopass tra numero di mezzi che transitano e somme effettivamente versate, né dell’effettivo numero di corse a Tremestieri. Ma il campanello d’allarme è suonato forte quando, appena un giorno dopo l’entrata in vigore dell’ordinanza, gli armatori hanno protestato sostenendo che le deroghe a Tremestieri e quindi la disciplina del traffico non doveva essere affidata, come da logica, ai vigili urbani, che lo fanno di mestiere, ma al caposcalo, ovvero ad un comandante di Caronte- Tourist o Bluferries. Lasciare alle società la facoltà di decidere quando e per quanto “liberare i tir” è come affidare a Dracula la gestione del centro di ematologia. Il comandante Ferlisi protestò non per vanità o ambizione personale ma perché voleva difendere la titolarità di un controllo che non poteva essere lasciato ai controllati. Ma la giunta ha preferito ascoltare gli armatori, affidando loro il compito di gestire le deroghe.

Meno di 60 giorni dopo l’accordo sono scattati i ricorsi al Tar per contestare l’illegittimità del provvedimento.

Sul piano giuridico non mi soffermo perché non sono un avvocato, ma, a naso, capisco benissimo che i ricorsi sono stati studiati in modo da essere inappuntabili e basati su solide tesi difficilmente demolibili, quali ad esempio il fatto che il serpentone e l’area antistante gli imbarchi delle Ferrovie sono demanio marittimo e quindi non di competenza del Comune. Al di là dell’aspetto giuridico resta una concezione che fa orrore: Messina è considerata uno zerbino, un tappetino dove chiunque può passare asciugandosi le scarpe sporche di fango o bagnate di pioggia.

D’accordo io posso decidere per casa mia e non per il cortile che sporge sul demanio, ma, insomma, perché devo stare zitta se ogni giorno per accedere a quel cortile migliaia di truppe armate mi invadono il salotto gettando a terra i vasi della nonna e sporcando il tappeto persiano? Nel ricorso l’Aias ricorda che Messina è la porta della Sicilia e quindi non possiamo venir meno al nostro ruolo di porta. Sia Richichi che Vincenzo Franza poi lamentano la vicenda deroghe, facendo capire che “si stava meglio quando si stava peggio”, cioè quando non esisteva un criterio logico e rigoroso ma i pass venivano elargiti con metodi quantomeno discutibili ed erano un come le figurine Panini che i bimbi si scambiano. Che il sistema pass avesse più buchi di uno scolapasta lo dimostrano le multe che i vigili hanno fatto nei giorni di novembre beccando camionisti con pass ultra datati, quando tra l’altro l’ordinanza prevedeva che dovessero consegnarlo al momento dell’imbarco alla rada San Francesco. Il sistema pass piaceva perché era all’italiana, ognuno frega il prossimo come può. I tre ricorsi si incontrano su un punto paradossale: non possiamo discriminare i tir attraverso un divieto “ad personam”. In sostanza i discriminati non siamo noi messinesi che da 40 anni subiamo le conseguenze di essere “una porta”, anzi, uno zerbino, ma i camionisti che non sono più liberi di scorazzare a casa nostra come vogliono.

Sul fatto che le nostre “Strisce di Gaza” siano di competenza dell’Autorità portuale cambia molto sotto il profilo della forma (l’amministrazione non ha giurisdizione) ma tantissimo sotto il profilo della sostanza (questa non è casa nostra). Intervistato dal collega Marco Ipsale sul ricorso, Vincenzo Franza chiarisce: “l’organizzazione funziona perfettamente adesso, ma l’atto è illegittimo, se il Tar dovesse darci ragione noi comunque continueremo con questo sistema”. Sì certo. Non so a voi ma a me sa di presa in giro. Probabilmente la giunta avrebbe dovuto osare di più e fidarsi di meno. E’ tornato il momento di togliere dalla soffitta i vecchi striscioni di protesta, richiamare all’azione Saro Visicaro e gli storici movimenti anti-tir e tornare a protestare, con in testa Accorinti.

Il Comune si tutelerà attraverso le vie legali, fatto che basta sotto il profilo della forma, ma non servirà a nulla sul piano della sostanza.

Quella foto di ottobre è l’immagine del “giorno prima del tradimento”. Come direbbe Accorinti, "è stato un tradimento epocale".

Comprensibile la sorpresa di fronte a chi il giorno prima ti abbraccia e quello dopo ti accoltella, ma poi, ci si deve difendere, in ogni modo.

Rosaria Brancato