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“Trappola per topi”: Agatha Christie intriga ancora

MESSINA – “Trappola per topi” al teatro “Vittorio Emanuele” Ancora una produzione importante per “La Pirandelliana”, andata in scena il 15 marzo, con repliche sabato 16 marzo alle 21 e domenica 17 marzo alle 17:30. Uno dei capolavori di Agatha Christie, rivisitato (non troppo, per fortuna) alla bisogna, che ha conservato il background di fondo, pur se con qualche non significativa “riserva” che andrò a evidenziare.

Il finale spiazzante di un giallo di Agatha Christie intriga ancora una volta

Dal proprio racconto “Tre topolini ciechi”, derivante a sua volta dall’omonimo radio-dramma, la Christie ha tratto la commedia gialla (appartenente al genere poliziesco) “The Mousetrap”, Trappola per topi, che è stata rappresentata per la prima volta il 6 ottobre del 1952, a Nottingham.

Dopo il debutto al Teatro Royal e la tournèe in altre sei città inglesi, l’allestimento originario, giunto nella capitale londinese al New Ambassadors Theatre il 25 novembre di quello stesso anno, ha trovato permanenza in cartellone, senza stacchi, fino al 2020, detenendo già dagli anni 70 il primato della maggiore rappresentazione in un teatro. Gli spettacoli sono poi ripresi dopo l’emergenza pandemica il 17 maggio 2021.

L’ambientazione originaria è in quel di Castel del Frate negli anni 50. Nella pensione di famiglia di Monkswell, nella campagna inglese, la famiglia composta dai giovani coniugi Mollie e Giles Ralston si avvia a ricevere i primi ospiti, mentre è in corso una bufera di neve e alla radio è trasmessa notizia dell’omicidio di una donna anziana a Paddington.

L’arrivo, mano a mano, della clientela, di cui quattro a seguito di prenotazioni, presenta note inquietanti: ognuno dei cinque appare quasi subito stravagante e tutti sono contrassegnati da ambiguità,alcuni più di altri, e le tracce comuni parrebbero rimandare a un episodio a tinte oscure di molti anni addietro. Mentre la tormenta infuria, il Sergente Trotter di Scotland Yard piomba in scena, circondato da un alone di stranezza, a suo dire per evitare che agli albergatori e ai clienti possa accadere il peggio ad opera di uno psicopatico che minaccerebbe tutti loro.

Il telefono d’epoca (a parete) resta poi isolato e uno degli ospiti è pugnalato. I proprietari della locanda, intanto, vengono aizzati dal poliziotto, che genera in ciascuno di loro sospetti di tradimento amoroso…e gli accadimenti si fanno incalzanti fino al disvelarsi della verità, che vede i cinque co-protagonisti (quali clienti) tutti assolutamente interconnessi – ad eccezione dell’unico ospite casuale- sia fra loro che con gli albergatori e il rappresentante della polizia.

Mollie, la proprietaria del maniero, dalle fattezze e abbigliamento graziosamente “minnieggianti”, già insegnante, e il marito Giles Raston, che indossa una inquietante t-shirt con l’immagine iconica di Topolino e appare nella prima scena intento a celare qualcosa, ospitano in primis Christopher Wren, un architetto eccentrico che indossa un basco, con marcati tratti di infantilismo, e che gioca al grande seduttore con la albergatrice, poi la giudice, Mrs. Boyle, una megera abbigliata in bianco e nero e traballante con al seguito sempre un bastone d’appoggio, che rimanda per la sua caratterizzazione alla figura di “Crudelia”; giunge poi il terzo ospite, un maggiore in pensione, molto distinto, in panciotto, una fatale Signorina Casewell, chiusa nei suoi misteri che parrebbero impenetrabili, in tailler di pelle nera, camicetta fucsia, nastrino-cravatta e tacchi, e infine il cliente non prenotante, tal Sig. Paravicini, in completo scozzese, borsalino colorato e genere maschile dubbio, di una socievolezza a tratti disturbante.

Una musica che a più riprese inspiegabilmente risuona, provoca in Mollie forti sensazioni paniche, che nel finale trovano consona motivazione e la filastrocca infantile sui tre topolini, evocativa e pervasiva, appare essere al centro del mistero. Anche la scelta delle altre melodie, anche queste riferibili a Paolo Silvestri, tratte dall’incantevole mondo dei Beatles, è risultata assai appropriata, come da perfetto modello dell’Autrice dell’originario script.

Giorgio Gallione, oltre alla assai pregevole direzione della pièce, è stato anche adattatore del testo unitamente a Edoardo Erba, con risultati assolutamente dignitosi, potendo dunque definirsi riuscito l’intento di trasporre questo classico della letteratura teatrale mantenendo pressoché inalterato il rispetto dell’affascinante e incalzante plot, pur se su qualche personaggio si è un po’ calcata la mano, rendendolo eccessivamente macchiettistico, anziché solo fortemente “sui generis”.

Impeccabile interpretazione di Ettore Bassi

Ettore Bassi, in quello che risulta pur nella corale prospettazione il ruolo principale, ha reso una impeccabile interpretazione, così come ciascuno degli altri attori, tutti assai lodevoli, ai quali va riconosciuta la restituzione delle originali configurazioni con delineazione accurata, in alcune ipotesi e secondo i frangenti in guisa differenziata.

Altri interpreti: Claudia Campagnola, Dario Merlini, Stefano Annoni, Maria Lauria, Marco Casazza, Tommaso Cardarelli e Raffaella Anzalone.

L’isolamento è di certo la componente più sconvolgente, unitamente all’ambivalenza, che trova forte dispiegamento soprattutto in alcuni personaggi, come il totalizzante e serpeggiante sospetto e la confusione volutamente generata fra vittime e carnefici.

Le scene di Luigi Ferrigno sono riferite alla locanda degli anni 50 ( con arredi del periodo, ma compatibili con il decennio successivo, come divanetti, poltroncine, sedie, sgabelli e boiserie, e l’immancabile radio), immersa nella campagna inglese – che traspare sullo sfondo attraverso una vetrata – però ora brulla assai, generando un’atmosfera che avviluppa con tronchi (quali scarne braccia che tendono al cielo) e cervi, le cui teste sono altresì utilizzate da supporto a lampade macabre, ma all’epoca in uso; una Hoya carnosa campeggia rigogliosa nella hall, in contrasto evidente con la tempesta di neve che fuori imperversa. Di pregio anche il disegno di luci di Antonio Molinaro.

I costumi e gli accessori, di Francesca Marsella, rimandano agli anni 50/60, con accurata maestria.

In conclusione, per le due ore di durata, intervallo incluso, questo percorso teatrale performativo nell’universo di Agatha Christie ha saputo intrigare e coinvolgere, emozionando il folto pubblico che ha espresso gradimento con plauso ripetuto.