Migranti minori non accompagnati, senza la loro terra e adesso anche senza Casa Mosè

Già strappati dalla propria terra e dalle proprie origini, adesso saranno allontanati anche dalla “casa” che li ha accolti per mesi e dove hanno ricevuto assistenza ed amore. I 18 migranti minori non accompagnati attualmente ospitati a Casa Mosè, centro di prima accoglienza gestito dall’associazione Amici dei Bambini, dovranno essere spostati altrove. Così ha deciso il Dipartimento delle Politiche Sociali del Comune di Messina , che ha infatti disposto e comunicato , con una fredda nota di sole 9 righe, il trasferimento degli stranieri minorenni, di età compresa tra i 14 e i 17 anni . Undici di loro andranno all’Ipab e gli altri sette saranno accolti dalla Cooperativa Santa Maria della Strada.

Al centro di tutta la vicenda la mancanza di soldi per continuare a mantenere in vita la struttura. Il Comune non ha ancora ricevuto i 120 mila euro stanziati dal Ministero e destinati ai Misna (acronimo con cui si indicano i minori stranieri non accompagnati): l’assessore ai servizi sociali Mantineo fa sapere che le risorse ci sono, ma non sono ancora state accreditate.

Come l’Aibi spiega in una nota pubblicata nel proprio sito, il rischio chiusura, sempre per motivi economici, si era già concretizzato lo scorso luglio: «dopo aver speso 150mila euro – tutti di tasca propria – per i primi 7 mesi di attività, si rischiò di non poter più proseguire. Per fortuna, in quell’occasione, si riuscì a trovare una soluzione: Casa Mosè non chiuse, ma si limitò a cambiare sede, trasferendosi nel quartiere messinese di Camaro. Nel frattempo, era stato firmato un accordo con il Comune di Messina che avrebbe garantito un sostegno economico di 45 euro al giorno per ciascun minore ospitato. Si è riusciti a “tirare avanti” per altri 4 mesi, spendendo altri 60mila euro, anche in questo caso senza mai avere un euro di supporto dallo Stato. Ora però non è più possibile andare avanti». I costi sostenuti sino ad oggi dall’associazione ammontano a 210 mila euro, che nessuno ha mai rimborsato.

Rabbia e senso di impotenza i sentimenti prevalenti dei volontari dell’Aibi: «È il triste finale di una bella storia. Quella di Casa Mosè, inaugurata a dicembre 2013, nell’ambito del progetto “Bambini in alto mare”, lanciato da Ai.Bi. per l’accoglienza dei Misna. Durante questi 11 mesi, circa 100 minori in fuga dalla guerra e dalla miseria e sbarcati in Italia da soli hanno trovato accoglienza. Non hanno rischiato di finire nel tunnel della criminalità e del traffico di esseri umani. Non sono rimasti per strada. Non hanno fatto perdere le proprie tracce».

In questi mesi, l’Aibi non si è limitata ad offrire ai ragazzi un tetto, un letto ed un pasto caldo ma ha avviato servizi educativi, ricreativi, di socializzazione e integrazione. I volontari che hanno assistito i ragazzi a Casa Mosè si sono preoccupati anche della formazione scolastica, seguendo i 18 ragazzi nel percorso per ottenere la licenza media. Nonostante i grandi sacrifici sin qui compiuti, «da martedì 18 novembre Casa Mosè non sarà più la casa dei 18 ragazzi che qui hanno trovato non solo un tetto, ma un contesto familiare che li ha accompagnati nei primi passi sulla strada dell’integrazione nel Paese da cui avevano deciso di far ripartire la propria vita».

L’interruzione di questa esperienza, che rischia di destablizzare psicologicamente i giovani migranti, non poteva che provocare una dura reazione: «Tutto ciò, evidentemente, allo Stato non interessa. In quasi un anno, le istituzioni non hanno sostenuto in alcun modo l’ospitalità dei Misna presso Casa Mosè, così come non l’hanno fatto per tutte le strutture di accoglienza delle altre organizzazioni del Terzo Settore che si sono impegnate su questo fronte. E che dalle istituzioni non hanno ancora ricevuto alcuna risposta alle loro necessità di essere supportate nella difficile missione di garantire un’accoglienza giusta a questi giovanissimi migranti. Al contrario, si è assistito a un penoso rimpallo di responsabilità tra le istituzioni stesse: Ministero dell’Interno e prefetti da una parte, Comune di Messina dall’altra».

Mentre in città continuano a sbarcare altri migranti e altri minori, Comune e Prefettura continuano ad “ignorarsi”, quando invece per affrontare al meglio quest’emergenza che dura ormai da un anno le parole d’ordine dovrebbero essere dialogo e collaborazione. L’ex esperta di Palazzo Zanca, Clelia Marano – che non ha certo smesso di seguire da vicino le storie e le vicissitudini di questi ragazzi arrivati dal mare con un enorme bagaglio di sofferenza, se non di vera e propria violenza – ripete da mesi la necessità di istituire dei tavoli tecnici in Prefettura, di interpellare esperti e di affidarsi a persone che possano reperire bandi e finanziamenti. I suoi appelli sono sempre caduti nel vuoto, sono rimasti inascoltati anche a Palazzo Zanca, dove lei trascorreva intere giornate, dedicando tutto il suo tempo alle persone bisognose. La questione migranti è stata lasciata tutta nelle mani dei volontari, ma dedizione, amore, voglia di aiutare il prossimo non possono bastare. Serve l’aiuto delle Istituzioni. Proprio quello che è mancato sino ad oggi.

Danila La Torre