L’immagine di un ossimoro: Messina, città dell’accoglienza. Ma siamo solo terra di passaggio

C’è un’immagine che ritrae in tutta la sua dolorosa realtà, la contraddizione di un tempo, di una società, ed anche di Messina. E’ un’immagine scattata martedì pomeriggio quando al Molo Marconi è approdata la nave irlandese Le Eithne, con a bordo oltre 500 migranti salvati nel Canale di Sicilia. Quel carico di disperazione e speranza è attraccato accanto, come si vede in tutte le fotografie, alla Msc Fantasia, arrivata in riva allo Stretto sin dalla mattina. Fianco a fianco turisti colorati e festosi, macchine fotografiche alla mano e voglia di relax e migranti dagli occhi bianchi di chi ha visto l’inferno ma spera di arrivare, prima o poi, a toccare almeno la porta d’uscita del girone degli ultimi. Mentre la fila dei disperati veniva fatta uscire per le pratiche di quello che ormai è un rito ben conosciuto a Messina, i turisti rimasti a bordo guardavano incuriositi e per un paio di minuti hanno lasciato piscina, tuffi, balli di gruppi per osservare il mondo, non quello del passato o quello che gli artisti e la natura ci hanno lasciato, ma quello che noi stiamo lasciando ai nostri figli.

Quell’immagine è l’ossimoro non solo di una società che riesce ad affiancare morte e allegria in questo modo senza provare vergogna ma anche di una città impreparata all’una ed all’altra. L’ossimoro infatti riguarda la parola: accoglienza.

E’ un termine che utilizziamo sia per l’arrivo dei turisti “da crociera” (ormai considerati una sorta di categoria a sé, come gli orsi bianchi e i vegani), che per quello dei migranti. E’triste come una parola possa essere usata per due realtà opposte, ed è triste vedere come Messina sia impreparata, culturalmente e strutturalmente, ad affrontarle entrambe. Ed infatti, in entrambi i casi siamo considerati, da turisti e migranti, terra di passaggio.

L’altro giorno un caro amico che da decenni s’impegna nel volontariato e nel lavoro per costruire una Messina diversa, mi faceva notare come nel molo di attracco sembra essersi creata una sorta di “muro di Berlino”, una barriera, dove da un lato c’è la Messina che accoglie i turisti, li “carica” sui pullman per portarli via, verso quelle mete per loro più note, dall’altro, oltre la cancellata ed un binario di un tram che sembra un fossato invalicabile, c’è una città che non riesce a capire, né ad avere la voglia di “fare turismo” e quindi accoglienza turistica. Se non ci fossero le cooperative e alcuni imprenditori le amministrazioni che fin qui si sono succedute, lascerebbero queste maree alla deriva ( su questo argomento vitale per la sopravvivenza di Messina tornerò nei prossimi giorni). Il motto rivolto a questi operatori sembra essere “cavatevela da soli”. Non c’è un solo atto in sinergia tra le Istituzioni e la realtà operativa messinese. L’Autorità portuale fa egregiamente la sua parte attraverso un’opera di promozione tra le compagnie di navigazione e tour operator facendo anche quello che toccherebbe ad altri, amministrazione comunale in testa. Il turismo non può essere visto come un problema da relegare, e delegare, solo all’Authority o a un tavolo tecnico peraltro incompleto(dove sono infatti i rappresentanti di quelle cooperative, di quelle associazioni, di quei gruppi che ogni giorno stanno oltre quella cancellata per fare accoglienza e dare servizi? Perché nessuno li chiama? Perché nessuno ascolta le loro proposte “dal basso”?)

Una settimana fa mi ha colpito che all’incontro al Palacultura che ha sancito la nascita della Fondazione di Antonello da Messina (anche su questa vicenda Tempostretto dedicherà ulteriori articoli, perché è una vergogna che non si trovino 70 mila euro per trasformare una risorsa in ricchezza) e quindi si parlava di turismo culturale, non ci fosse l’assessore Perna, circostanza questa che non è un’eccezione ma la regola quando si richiede la presenza di un assessore alla cultura. C’era l’assessore all’ambiente Ialacqua, che nel caso specifico era importante perché la tomba di Antonello è spesso ridotta a “discarica”, ma in quella sede esperti e volontari parlavano di un progetto e di un sogno che riguarda strettamente le politiche del turismo. Può essere condivisibile l’idea di avere un assessore reggino per portare avanti strategie collegate all’Area integrata dello Stretto, ma poiché è un amministratore del Comune di Messina, almeno l’essenziale dovrebbe avere la priorità. Prima di promuovere iniziative in mezzo allo Stretto o tra le due sponde Perna ha il dovere di attenzionare quel che c’è al di qua di questa riva. Prima di essere “integrati” abbiamo urgenza di far rinascere la nostra identità, Messina pretende che il suo assessore alla cultura non sia una realtà virtuale, ma sia in carne ed ossa, giacchè il nostro presente ed il nostro futuro è lì, in quella delega che non è una delega di secondo piano, ma un traino per tutte le altre. Ma questa giunta parla di Area integrata con Reggio senza pensare che prima dovremmo integrare i Forti umbertini alle chiese e creare un percorso nel quale il Museo non sia da raggiungere con il teletrasporto, ma grazie ai servizi che l’amministrazione mette a disposizione. Temo che più che all’Area integrata, al momento della scelta di Perna, si sia pensato al fatto che opera all’Università di Messina con i colleghi di giunta e che sui primi 100 giorni di Accorinti abbia dedicato uno studio ed un report.

Attribuire tutte le responsabilità a Perna sarebbe però riduttivo ed ingiusto perché siamo riusciti a farci del male da soli in decenni. Nei libri di geografia accanto al nome di una città ci sono poi i dati relativi alla popolazione ed alle attività. Ecco, noi per decenni abbiamo vissuto come se accanto alla parola Messina ci fosse scritto: pastorizia, agricoltura, metallurgia e noi fossimo un popolo di pastori e di fabbri.

Per l’accoglienza turistica siamo impreparati, ma lo stesso vale per la seconda metà della fotografia, l’accoglienza dei migranti. Abbiamo trascorso un anno assistendo alle liti tra il prefetto e il sindaco, siamo ignorati dai canali ministeriali al momento delle risorse, abbiamo lasciato che ad affrontare gli oceani dei profughi siano stati i volontari, l’ex esperta Clelia Marano, un Palanebiolo adatto all’emergenza come casa mia ad ospitare gli studenti di un college americano. E quando la Marano ha detto basta si è scoperto che dietro di lei non c’era mai stato nessuno a darle una mano se non i volontari. Prima di dire “scarso” al prefetto, l’assessore Mantineo un esame di coscienza avrebbe dovuto farlo.

Alla fine ci siamo abituati a vedere quei migranti ai semafori o per le strade ad elemosinare esattamente come ci siamo abituati ai turisti straniti che vagano in cerca di un cartello segnaletico o provano ad attraversare senza essere falciati da un tir.

Questa è la Messina dell’accoglienza. Ma stiamo tranquilli, in entrambi i casi nessuno di loro resta più dello stretto necessario. Per i turisti e per i migranti noi siamo terra di passaggio. Possono star tranquilli i razzisti dello Stretto che hanno dimenticato quando altri stavano alla larga dei nostri nonni perché pensavano che la nostra ignoranza, sporcizia e mafia fosse contagiosa e possono star tranquilli anche i parolai che pensano che il sole e il mare ci faranno ricchi. Dovremmo essere meno arroganti e superbi e rimboccarci le maniche. Nessuno di loro ci ricorderà, di noi non resterà traccia nella memoria degli uni e degli altri.

Scappano da una città che non sa come affrontare una miseria che ha conosciuto bene ed è rimasta nel Dna, ma non sa affatto come costruire, dalle macerie di quella nostra miseria personale, un futuro diverso, di lavoro, ricchezza.

Rosaria Brancato