Questa crisi e i provvedimenti conseguenti modificano alle fondamenta i modelli di società che i partiti italiani hanno proposto fino ad oggi

La Grecia è in piazza o, meglio, è in piazza quella parte della Grecia che sarà massacrata dai vincoli di bilancio ufficialmente imposti da Ue e Fmi, in realtà pretsi da una Germania troppo grande per l’Europa. Sui grandi media nazionali si vedono i primi segnali di un dibattito che ci interessa molto da vicino.
Gli osservatori politici più aperti ai temi sociali cominciano a chiedersi se la via tedesca al risanamento economico sia effettivamente la migliore o, al contrario, derivi da scelte egoistiche mirate a mantenere e consolidare gli straordinari vantaggi derivati a quel Paese da una unione monetaria quantomeno improvvisata. Scelte che, alla lunga, produrranno sacrifici inaccettabili per i Paesi meno competitivi dell’Area Euro. Si fa strada la convinzione che, alle valute più deboli – Lira in testa –, nel lontano 2001, furono imposti rapporti di cambio troppo sfavorevoli, che avrebbero inevitabilmente condotto a versare lacrime e sangue a medio-lungo termine. Ed è ormai sotto gli occhi di tutti.
Di fronte al dramma di milioni di persone appartenenti ai ceti più deboli – proprio coloro che le forze progressiste avrebbero dovuto tutelare -, qualcuno comincia a chiedersi se la soluzione migliore sia quella che Monti, Papademos, Rajoy e Coehlo – premier di Italia, Grecia, Spagna e Portogallo – stanno imponendo ai loro cittadini.
O se non ci sia un’altra strada; pur se fa riflettere come, persino un uomo dalla storia “di sinistra” come il Presidente Napolitano, abbia indirizzato il Paese verso scelte scopertamente “di mercato”.
Ci si chiede, molto concretamente, chi debba pagare il prezzo della crisi.

Certo, sul bilancio pubblico influiscono soprattutto le pensioni, la spesa sanitaria, gli stipendi pubblici, i trasferimenti agli enti locali e l’istruzione, mentre ormai tutti sappiamo che, in fondo, gli stipendi dei top manager (pubblici) e i costi della politica incidono in misura complessivamente ridotta. Ed è anche vero che è molto, molto difficile quantizzare con precisione quanto pesano sulle casse pubbliche le miriadi di enti, partecipate e consulenze il cui onere è a carico di uno Stato munifico con i suoi prediletti.
Così come, in una società di mercato, è rischioso prendersela con il mondo della finanza (banche in testa) o con i grandi patrimoni: i primi ribalterebbero i maggiori costi sui clienti – siano essi famiglie che imprese -, mentre i proprietari dei secondi, messi alle strette, potrebbero anche fare le valige.
Che pena vedere i nostri parlamentari, in un momento così drammatico per il nostro Paese e per l’Europa, mortificare il proprio ruolo per tutelare gli interessi delle categorie privilegiate. O divagare proponendo la … semplificazione delle procedure di separazione consensuale tra i coniugi, la liberalizzazione della pratica del tiro a segno, l’istituzione dell’albero genealogico per gli animali da riproduzione. Quando dovrebbero essere d’esempio ai cittadini nell’affrontare i sacrifici.

Altro che grandi dibattiti sulla struttura stessa di una società ideale, altro che accanite discussioni notturne nelle sezioni dei partiti sulla opportunità di una partecipazione popolare nella gestione delle fabbriche o delle stesse istituzioni finanziarie – ancora attuali pochi decenni fa -: ormai si tratta di soppesare col bilancino chi e quanto ciascuna categoria deve pagare per adeguarsi all’idea di capitalismo più oppressiva degli ultimi cento anni.

Né ci sentiamo di suggerire di “tirarcene fuori subito”.
E’ triste però constatare che questo dibattito – che dovrebbe vedere i leader politici in prima fila confrontarsi con i cittadini – è completamente assente nella nostra città.

Ulteriore dimostrazione di un decadimento culturale che appare inarrestabile.
Come la pensano i nostri parlamentari sui provvedimenti passati e futuri del Governo Monti? Possibile che, oltre a dire Sì o No al Ponte, oltre a esprimere le loro (sterili) critiche sul disinteresse dello Stato a contrastare il dissesto idrogeologico e il disimpegno delle FFSS, non abbiano null’altro da dire? Non ritengono che, tra i loro compiti, ci sia anche quello di sviluppare il confronto d’idee all’interno dei partiti di cui sono alla guida? Facendo conoscere all’esterno le ragioni che li inducono a votare in un modo anziché in un altro?
Due fatti, accaduti negli ultimi giorni, ci hanno colpito in modo particolare: gli applausi dei cittadini di Atene ai Black bloc e il risultato delle primarie del PD a Genova, con la sconfitta dell’ala moderata del PD. D’accordo che Messina è ai margini del mondo, ma cosa ne dicono i vertici del PD?