Da pochissimi giorni sta girando una poesia inerente una lontana epidemia, datata al 233 a.C. e attribuita allo storico Eracleonte di Gela. In quel tempo Gela faceva parte della Provincia romana di Sicilia, da poco, essendo trascorsi otto anni dalla prima Guerra Punica; la città, ch’era stata una delle “prime capitali” della Sicilia, era ridotta a una rovina popolata perlopiù da contadini in seguito alle devastazioni avvenute mezzo secolo prima.
Il misterioso testo prima sconosciuto sta circolando in plurimi ambienti ed è persino declamato in pubblico dal Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che l’ha letto durante una conferenza stampa del 31 Marzo rilevando nella vicenda poetica una straordinaria similarità con la situazione odierna. La cosa è stata trattata sùbito da molte testate ma, essendoci nel mezzo un autore siciliano, vogliamo occuparci anche noi della vicenda.
Ecco il testo, che comunque si può reperire facilmente in rete: “I È iniziata l’aria tiepida / e dovremo restare nelle case / per le Antesterie, / le feste dei fiori / in onore a Dioniso. /II Non usciremo, / non festeggeremo, / bensì mangeremo e dormiremo / e berremo il dolce vino / perché dobbiamo combattere. /III Le nostre città lontane, / ornamento della terra asiatica, / hanno portato qui a Gela / gente del nostro popolo / un tempo orgoglioso. /IV Queste genti ci hanno donato / un male nell’aria / che respiriamo se siamo loro vicini, / il male ci tocca e resta con noi / e da noi passa ai nostri parenti. /V Il tempo trascorrerà / e sarà il nostro alleato, / il tempo ci aiuterà / a guardare senza velocità / il quotidiano trascorrere del giorno. /VI Siamo forti e abbiamo sconfitto molti popoli / e costruito grandi città, / aspettiamo che questo male muoia, / restiamo nelle case / e tutti insieme vinciamo.”
Bella, intensa, potente, e straordinariamente attuale. Il problema è che un geloo illustre di nome Eracleonte sembra non essere mai esistito; non è annoverato nel panorama degli storici – come viene qualificato – né in quello dei poeti. Per giunta – un dettaglio che abbiamo minimizzato prima nella presentazione –, nel periodo in cui Eracleonte sarebbe vissuto, Gela nemmeno esisteva più come città perché era stata devastata già una volta dai Mamertini e poi dalle truppe del tiranno Finzia di Agrigento che ne trasferirono la popolazione (così dice Diodoro); sarebbe poi stata riabitata come insediamento agricolo nel periodo romano e restaurata come città soltanto dopo più di mille anni da re Federico I di Sicilia (imperatore Federico II d’Hohenstaufen), perciò è improbabile che un intellettuale vi avesse i natali in quei giorni.
È venuto meno il personaggio citato come autore; perciò, chi l’ha scritta? Se analizziamo attentamente alcuni versi della poesia, scopriamo che gli elementi di quel presunto fatto storico sono straordinariamente identici al presente:
Queste parole sembrano scritte di questi tempi, in effetti, ma fatte coincidere con cultura e società di moltissimo tempo fa. Non sembra che ci sia mai stato nessuno storico siciliano dal nome Eracleonte di Gela, ma sappiamo che in Sicilia visse un Eracleone (il nome è lo stesso, due adattamenti di Hērakleon), filosofo e predicatore cristiano-gnostico vissuto più di centoquarant’anni dopo che operò sotto gli imperatori Traiano e Adriano.
Insomma, ciò che abbiamo davanti è una poesia stupenda, scritta da una mente e mano che tiene molto alle antichità e le conosce bene e sa giostrarle alla perfezione, tanto da fare corrispondere a puntino elementi antichi con quelli attuali (una scelta stilistica dunque), un autore o autrice – possibilmente davvero di Gela – che sceglie d’ambientare in un’epoca lontana il lamento per una situazione attuale, non soltanto la pandemia ma anche lo stato d’ingloriosa sudditanza in cui versa la Sicilia; a questo punto, il nome di Eracleonte di Gela potrebbe essere uno pseudonimo di chi l’ha scritta o un’invenzione di chi l’ha divulgata per renderla una sorpresa credibile.
Questa almeno è la nostra interpretazione di un ottimo componimento – che non è uno scherzo, com’è stato presentato, ma uno scritto serio semmai imitativo d’un antico stile – che ci dovrebbe fare riflettere.