In principio fu Lucia. Dapprima la lettera di dimissioni della più “longeva” degli assessori crocettiani per “motivi di ordine etico e morale” poi, in un’intervista a La Repubblica: “non invitatemi alle commemorazioni del 19 luglio, la legalità non è una questione di facciata”. Il vessillo antimafia che Crocetta ha issato come bandierina da mettere sopra la sua giunta ha detto molto di più anche senza dire. Poi è stato il turno di Manfredi Borsellino “Non invitatemi, sono al lavoro per fare cose concrete, sono stato educato al lavoro ed al rifiuto delle passerelle. Non capisco l’antimafia come categoria, come sovrastruttura sociale, sembra un modo per cristallizzare la funzione di alcune persone, magari per costruire carriere. La legalità non è una facciata è una precondizione. Sono appassionato di calcio e per me i Memorial sono quelli in campo”. Fiammetta, la terza sorella, come sempre, farà celebrare una Santa Messa in maniera riservata, al massimo una decina di persone.
Lo strano caso dell’antimafia di facciata, delle carriere dell’antimafia, della “mafia” dell’antimafia, è sollevato periodicamente. Di recente il caso Helg, paladino dell’antimafia preso con la mazzetta in tasca, poi il mega sequestro ai Virga, imprenditori che avevano scoperto il trucco: avevano finto di essere passati dalla parte dell’antimafia, denunciando false estorsioni, riuscendo ad ottenere persino benefici per questo dallo Stato ed infine, ciliegina sulla torta, dopo aver trasferito società a prestanome, si erano iscritti ad un’associazione antiracket.
Se a dire “non invitatemi all’anniversario dell’assassinio di mio padre” sono i 3 figli di Paolo Borsellino, una delle quali, Lucia, assessore-simbolo (in virtù del suo cognome) di una giunta che ha basato le fondamenta sull’antimafia, lo dichiara a 24 ore dalle dimissioni, allora vuol dire che siamo arrivati al punto di non ritorno. Lo schiaffo all’antimafia delle passerelle lo stanno dando le vittime di questa stagione ventennale che ha creato la casta degli “unti dal Signore”, una setta che sulla legalità e la lotta alla mafia ha costruito potentati e carriere.
Chi ha costruito la propria solida carriera sulla vetrina dell’antimafia ha utilizzato questa “lotta” a fini squisitamente politici. A un certo punto si è creata una sorta di graduatoria per capire chi è più antimafioso di chi, uno scontro fatto a colpi di denunce, di annunci, di dichiarazioni sulla stampa, di cultura del sospetto.
Se la mafia si potesse combattere con le parole e i bei discorsi a quest’ora non ci sarebbe più traccia di un solo mafioso nel sistema solare. Oltre ad usare l’antimafia per far carriera è poi diventata un’arma per creare fossati tra i buoni e i cattivi. Mai contrariare un antimafia per eccellenza. Se ti trovi sulla strada di uno degli unti dal Signore sei spacciato, a prescindere dalla tua onestà, dalla tua fedina penale, dai tuoi valori, dalla tua vita integerrima, perchè sei dalla parte sbagliata.
Alle Europee dello scorso anno in Sicilia c’è stato un dibattito nel Pd che mi ha fatto orrore. Ogni leader di corrente tirava l’acqua al suo mulino per il proprio candidato. L’unico requisito era avere il bollino blu. La guerra è stata su chi avesse il candidato antimafia più antimafia di tutti. In questo scontro il cognome fa più punteggio di ogni altro aspetto (la capolista è stata Caterina Chinnici. Uscenti erano Rita Borsellino e Sonia Alfano). Ma come dice Manfredi Borsellino: “la legalità è una precondizione”. L’antimafia è un modo di essere, non un mestiere, è una pre-condizione non una categoria autoreferenziale nella quale sono gli stessi esponenti della setta che decidono chi è dentro, chi è fuori, chi sale di grado, chi scende. Non so se la Borsellino sia stata il miglior assessore alla sanità che la Sicilia potesse avere, so che nel chiamarla Crocetta ha puntato sul fatto che è la figlia di Paolo. Ne ha fatto una bandiera, un impermeabile, un ombrello, per un’amministrazione regionale che in 2 anni e mezzo lo ha visto più in procura e in tv che sul territorio. Quanto ai fatti reali: zero. Fino all’altro giorno Crocetta ha detto: quando farò i nomi….. Ma perché non li ha fatti finora? Perché agitare la cultura del sospetto? Al Fatto quotidiano, per replicare all’ormai noto articolo di Buttafuoco sullo “sbiancamento anale”, il governatore ha dichiarato ad Antonello Caporale: “In Sicilia ci sono stati 7 presidenti della Regione finiti in carcere. Quando ero sindaco a Gela ho fatto cacciare 825 mafiosi. Vendo fumo?”. Il nostro governatore ha dichiarato ad una testata nazionale che in Sicilia 7 suoi ex colleghi sono stati arrestati e che lui, da sindaco-sceriffo ha cacciato (non si sa se con un editto o atto d’indirizzo) quasi mille mafiosi. Se non vende fumo sicuramente qualcosa di strano avrà fumato prima di rilasciare quelle dichiarazioni. Ma Lui può, Lui e tutti gli altri paladini di un’antimafia che in questi decenni ha creato un fossato nel quale chi è ai margini è mafioso a prescindere, e quelli che stanno con Lui godono automaticamente dell’unzione, anche se li indagano o li arrestano, come peraltro è avvenuto. L’addio della Borsellino giunge dopo anni di una giunta che ha visto 36 assessori tra i quali un cantante, una studentessa, uno scienziato con la testa tra le formule, assessori ex lombardiani e cuffariani, una segretaria. Serviva un sigillo e chi meglio della figlia del giudice massacrato dalla mafia? Può bastare questo per parlare di buon governo, di buona politica? No. E sono i fratelli Borsellino a dirlo rifiutandosi di essere usati come vessilli nelle vetrine dell’antimafia.
Non si può far politica con la graduatoria dell’antimafia. Nei giorni scorsi il Consiglio comunale ha intitolato la Sala Commissioni a Graziella Campagna. Tra gli interventi dei perplessi c’è stato chi sosteneva che Graziella è una vittima per caso ed elencava altre vittime che sarebbero state più adatte al caso, come se si potesse fare la classifica dell’orrore. Graziella Campagna è vittima della mafia perché è stata uccisa nel e dal contesto mafioso. Lei e l’intera famiglia, Piero, Pasquale, Paolo, vittime di un contesto mafioso che per 24 anni li ha “uccisi” con la negazione della giustizia e delle verità. La famiglia Campagna è interamente vittima di mafia. Eppure nessuno di loro è mai stato assessore, consigliere, candidato, sono rimasti semplicemente umili testimoni della lotta alla Bestia. Senza passerelle, riflettori, proclami. Il massimo che chiedono alle Istituzioni è l’uso di una palestra, di un palco per parlare agli studenti. L’antimafia si fa non si dice. La casta degli antimafia di facciata è intoccabile e incriticabile. Se provi a contestare un politico, o un politicante della casta, su qualsiasi tema, dalla buca per strada ai viaggi interstellari lui non replica sul merito, si inalbera e la butta sulla mafia, sulla dietrologia. Per fare un esempio banale, senza andare ai “7 ex governatori siciliani arrestati”, un amministratore ha minacciato di querelarmi se avessi continuato a pubblicare le interrogazioni dei consiglieri che gli fanno opposizione, poiché erano mistificazioni e mi rendevo complice del reato. In tutta Italia le interrogazioni consiliari sono l’unico strumento democratico che hanno i consiglieri per espletare il loro mandato, a prescindere dal fatto che la giunta vigente sia la migliore del mondo e quella precedente una cosca di mafiosi. Che poi una testata giornalistica le pubblichi è il minimo garantito dall’art. 21 della Costituzione. Un altro rappresentante di un’istituzione, mi ha additato come para-mafiosa per aver pubblicato interrogazioni, comunicati stampa, dati e cifre relative all’attività espletata.
Le parole durissime dei fratelli Borsellino aprono una nuova fase nella politica siciliana, strappano una bandiera logora e taroccata e ci costringono a fare i conti con la nostra ipocrisia.
L’antimafia non è politica, è vita quotidiana. L’antimafia la fa il ragazzo che si oppone al sopruso, il commerciante che non paga il pizzo, l’imprenditore che non sgancia la tangente e l’impiegato che non si fa corrompere, l’antimafia la fa il carabiniere, il magistrato (che poi non si candida), il giornalista, la casalinga, l’insegnante, il barbiere, il macellaio, la maestra d’asilo, il prete, il vigile urbano, il poliziotto, il docente, il disoccupato. L’antimafia la fa la singola persona.
L’antimafia siamo noi. Non è una professione, è un modo di essere. E’ una scelta.
Rosaria Brancato