"Nel sogno dei partigiani l'Italia del futuro, giusta e libera"

“Nel sogno dei partigiani l’Italia del futuro, giusta e libera”

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“Nel sogno dei partigiani l’Italia del futuro, giusta e libera”

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giovedì 25 Aprile 2024 - 16:52

Il discorso del presidente dell'Anpi provinciale, Giuseppe Martimo, e il ricordo dei partigiani messinesi

MESSINA – 25 aprile 1945 – 25 aprile 2024. Pubblichiamo il discorso di Giuseppe Martino (nella foto), presidente provinciale dell’Anpi, Associazione nazionale partigiani d’Italia, oggi in Piazza Unione europea per la Festa della Liberazione. Lo ha tenuto in occasione della cerimonia davanti al Monumento ai caduti.

Il 25 aprile rappresenta un momento cruciale nel calendario civile italiano, in cui la nazione riflette sulla sua storia e celebra la Liberazione dall’oppressione nazifascista.
Questa data segna il trionfo della Resistenza, un periodo di lotte e sacrifici che ha plasmato il corso dell’Italia moderna, culminando con l’instaurazione di una Repubblica democratica e antifascista
attraverso la nostra Costituzione. Piero Calamandrei nel 1955, in un discorso che tenne ai giovani di Milano spiegò che dietro gli articoli della Costituzione “ci sono giovani come voi fucilati, impiccati, portati a morire in campi di concentramento. Questa non è una carta morta, ma il testamento di 100.000 morti per la libertà. Se volete andare in pellegrinaggio dove è nata la nostra Costituzione, andate sulle montagne, nelle carceri, nei campi, dovunque è morto un italiano per riscattare la nostra libertà, perché è lì che è nata questa nostra Costituzione”.
Abbiamo sempre sostenuto l’importanza di una memoria attiva, una memoria che non si limita a ricordare il passato, ma che interroga il presente e si proietta verso il futuro.
La Resistenza, il nostro secondo Risorgimento, fu portata avanti da una molteplicità di persone non soltanto provenienti da varie culture politiche, represse dal regime fascista.
Ma fu un fenomeno molto più vasto che incluse religiosi, civili, donne, militari, internati in Germania, ebrei, operai in sciopero, imprenditori, contadini. La Resistenza fu un movimento di popolo e certamente tutte queste tessere contribuirono alla realizzazione del puzzle chiamato Liberazione da un lato e Costituzione della Repubblica Italiana dall’altro.

Il ruolo attivo della memoria e il ricordo dei partigiani messinesi

Il lavoro storico continua ad aggiungere tessere a questo mosaico alimentando e rafforzando questa memoria, riconoscendo il ruolo determinante delle donne che dopo l’8 settembre non solo hanno rischiato la vita ricoverando in casa l’esercito italiano in fuga, vestendo i soldati, nutrendoli, mantenendoli, facendo le staffette ma anche combattendo in prima persona. Noi come Anpi di Messina, ricordiamo tra le tante Maria Ciofalo, nome di battaglia «Fiammetta», nata a S. Stefano di Camastra, studentessa in ingegneria a Napoli, arruolata dai servizi segreti inglesi dopo aver preso parte alle «Quattro giornate di
Napoli”, fu la prima donna partigiana paracadutista in Italia. Maria Ciofalo fu paracadutata in Veneto nel 1944 per rafforzare il collegamento fra le formazioni partigiane.
Tra coloro che combatterono armi in pugno ci furono dunque soldati e forze dell’ordine, dando vita a una lotta eterogenea ma determinata. Ricordiamo Ferruccio Allitto Bonanno, partigiano messinese nelle formazioni di Giustizia e Libertà, poi questore e funzionario del ministero degli Interni fino ai livelli più alti.
Oggi, è doveroso ricordare anche il contributo significativo dato dall’Arma dei carabinieri alla lotta di Liberazione, così come quello degli Internati militari italiani (Imi) che, rifiutando di arruolarsi nell’esercito della Repubblica Sociale Italiana, finirono nei lager nazisti.

La funzione dei carabinieri anche dopo l’8 settembre 1943 era prevista dalle convenzioni internazionali: garantire la tutela dell’ordine pubblico, proteggere le caserme e i depositi di viveri, difendere i cittadini anche in una situazione di occupazione militare. Molti carabinieri, in avversione ai tedeschi non sequestrarono nessuna arma né denunciarono alcun italiano; spesso invece avvertirono i cittadini
delle operazioni di rastrellamento e aiutarono i perseguitati a evadere. Le armi che altri avevano sequestrato furono messe fuori uso prima di essere consegnate aitedeschi e quelle automatiche furono nascoste e passate alla Resistenza.

Episodi di resistenza avvennero già nei giorni dell’armistizio. Un gruppo di allievi carabinieri
aveva combattuto presso il ponte della Magliana contro i tedeschi; in quella circostanza ne morirono 28. Già il 23 settembre 1943, fu costituito il Fronte militare clandestino, con l’intento di raccordare e organizzare la resistenza da parte dei militari appartenenti alle varie Armi dell’esercito italiano, agli ordini del colonnello di stato maggiore Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo.

Lo stesso giorno vi fu l’episodio di Salvo D’Acquisto che, assumendosi la responsabilità di un attentato che non aveva compiuto, salvò la vita a 22 ostaggi a Torre in Pietra. Contemporaneamente accanto
ai compiti svolti alla luce del sole, molti di loro aderirono alla Resistenza come fiancheggiatori (raccolta di informazioni, fornitura di armi e viveri). Il sottotenente Carlo Alberto dalla Chiesa fu nella Resistenza e finì su una lista nera delle SS.
Il 6 ottobre 1943, su ordine esplicito di Mussolini eseguito dal generale Graziani, era stato emesso per i Carabinieri l’ordine di disarmo e scioglimento dell’Arma, cui era seguita la deportazione di circa 2.500 carabinieri romani nei lager tedeschi e polacchi.
Tuttavia, molti carabinieri, pur rimanendo ufficialmente disarmati, si unirono attivamente alla Resistenza, fornendo supporto logistico e operativo. Il Fronte clandestino di resistenza dei carabinieri è stata una formazione partigiana, nota anche come Banda Caruso. Antonio Calderaro di Caronia, Antonio Castorina di Saponara, il maresciallo Orazio De Gaetano di Messina sono stati partigiani nel Lazio in questa
formazione.
Oltre che in Italia, i Carabinieri si batterono valorosamente anche all’estero come nel caso del Battaglione che faceva parte della Divisione Garibaldi, che agiva in Jugoslavia e meritò alla Bandiera dell’Arma una Medaglia d’Argento al valor militare. La Repubblica di Salò, governo fantoccio controllato dalle forze di occupazione tedesca, sciolse, per la seconda volta, l’Arma dei Carabinieri.

L’eccidio di Orto Liuzzo

Non va dimenticato l’eccidio avvenuto a Orto Liuzzo, nel Comune di Messina, dove i tedeschi in ritirata uccisero, il 14 agosto del 1943, cinque carabinieri in servizio e un civile.
Si è fatta Resistenza anche nell’impossibilità di combattere, per questo oggi è fondamentale ricordare anche il contributo degli Imi. L’armistizio dell’8 settembre 1943 segnò una svolta cruciale nella storia italiana, portando a un violento cambiamento di scenario. L’Italia si ritrovò teatro del conflitto tra due eserciti stranieri: l’occupazione nazista fu immediata e brutale, con le truppe tedesche che
rapidamente presero il controllo del territorio italiano. Mentre i vertici tedeschi avevano pianificato con anticipo un’eventuale defezione italiana e reagirono prontamente invadendo la penisola, le disposizioni alleate risultarono confuse e tardive, portando alla cattura di circa un milione di soldati italiani.

Posti davanti alla scelta di passare dalla parte tedesca e combattere nella Wehrmacht o con le SS,
rifiutarono in massa e, dopo la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, si rifiutarono anche di aderire a quest’ultima, mantenendo fede al giuramento prestato all’Italia, e pertanto furono deportati in Germania e Polonia. La loro condizione di prigionia fu caratterizzata da durezza e precarietà, con migliaia di internati che persero la vita a causa delle avverse condizioni di detenzione.

Nei campi di concentramento furono sottoposti a lavoro “coatto”, da schiavi, nelle miniere e nell’industria bellica tedesca, ma a fronte di fame, sevizie, freddo e umiliazioni di ogni tipo, continuarono ad opporsi ad ogni forma di collaborazione con i nazifascisti.
Con il loro “no” pagarono pesantemente la loro coerenza. In totale gli internati furono circa 700mila, di cui oltre 50mila morirono nei campi, altrettanti al ritorno in patria per malattie contratte in prigionia. Il cappellano militare don Guido Visandaz testimonia che nello stalag di Versen a gennaio 1944 giunsero dei marinai del battaglione San Marco, catturati a Lero, dopo un disastroso viaggio in stive e poi in
tradotte sempre ermeticamente chiuse.

Uno di questi marinai, un messinese alto e robusto, di cui Visendaz ricorda solo il nome, Angiolino, si era ammalato di polmonite lungo il viaggio. Gli fecero fare a piedi 15 km da Meppen al campo. Il ragazzo si trascinò di notte con grande stento, fino all’infermeria, si accasciò, vi rimase tutta la notte. La mattina seguente i sanitari trovarono Angiolino per terra.
Constatata la polmonite, pregarono di poterlo ricoverare immediatamente: “Ma i tedeschi ricordano che un prigioniero non può essere ricoverato se non ha fatto prima la disinfestazione. Il ragazzo subisce la cieca determinazione degli aguzzini. Torna con la broncopolmonite doppia. Pochi giorni dopo muore dopo una lunga agonia.Angelino era bello, alto, forte. Aveva vent’anni”.
Fra gli Imi si articolò ben presto anche una rete di resistenza, anche solo in modo “passivo” vista la situazione coercitiva, contro il nazismo e il fascismo. A monte del rifiuto di cedere al ricatto dei repubblichini si annidava una profonda diffidenza verso nazisti e fascisti, visti ormai entrambi come nemici: nel corso della prigionia tra gli internati si fece strada un antifascismo sempre più consapevole. Il loro ritorno in patria fu segnato da una scarsa accoglienza e solo negli anni Ottanta del ‘900 si iniziò
a riconoscere e a commemorare la tragedia degli Internati militari italiani.

Le lettere dei condannati a morte della Resistenza

La Resistenza, quindi, non può essere ridotta a un episodio trascurabile della storia italiana. Essa rappresenta una cesura positiva nella lotta per la libertà e la democrazia. È attraverso il rigore della ricerca storica e l’onestà intellettuale che possiamo preservare la memoria di quei tempi e trarre insegnamenti per il presente e il futuro. 
Le lettere dei condannati a morte della Resistenza sono un documento di etica civile che dovrebbe ancora ispirare le azioni di tutti noi, soprattutto di chi è impegnato nella cosa pubblica. Ne riproponiamo una tra le tante perché è un esempio commovente di quanto siano forti le idee e il senso di giustizia. Nessuno di questi ragazzi, giustiziati da tedeschi e fascisti, è felice di morire, ma tutti sono sereni perché sono certi che alla fine le loro idee vinceranno e l’Italia sarà libera e più giusta.

Achille Barilatti, 22 anni, fucilato nel marzo 1944 scrive: “Mamma adorata, quando riceverai la presente sarai già straziata dal dolore. Mamma, muoio fucilato per la mia idea. Non vergognarti di tuo figlio, ma sii fiera di lui. Non piangere Mamma, il mio sangue non si verserà invano e l’Italia sarà di nuovo grande […] Addio Mamma, addio Papà, addio Marisa e tutti i miei cari; muoio per l’Italia. […] Ci rivedremo nella gloria celeste. Viva l’Italia libera! Achille”. 

Valori minacciati da tendenze autoritarie e populiste

Il loro sacrificio ci richiama alle nostre responsabilità, obbligandoci a essere parte attiva. Per questo ci ritroviamo qui oggi, per la Festa della Liberazione carica di storia e di memoria, per riaffermare con forza e vigore i valori fondanti della nostra Repubblica e della Carta costituzionale come l’eguaglianza sostanziale, la democrazia parlamentare e l’indipendenza della magistratura minacciati da tendenze
autoritarie e populiste.

La deriva verso politiche neo-liberiste e globali ha minato i principi costituzionali, portando a una crisi economica e sociale che ha generato disuguaglianze e sfiducia nella politica. Proposte intese a cambiare l’assetto costituzionale minacciano ulteriormente l’unità e la coesione sociale della Repubblica e la stessa democrazia basata sulla separazione e il bilanciamento dei poteri. Rifiutiamo con fermezza e determinazione soluzioni intese a svuotare di significato la lotta dei nostri padri e delle nostre madri per la libertà e la giustizia.
L’impegno per una democrazia partecipe, che ponga al centro la persona e la dignità umana, è fondamentale. Richiamiamo l’articolo 11 della Costituzione, che respinge la guerra e affida alle Nazioni Unite il compito di risolvere i conflitti tra Stati.

Papa Francesco, nella sua enciclica “Fratelli tutti”, sottolinea che di fronte alle armi di distruzione di massa, la guerra non può più essere considerata una soluzione ma il problema. Ricordiamo tutte le vittime innocenti di tutte le guerre, civili e militari e i tanti bambini a cui è stata negato il diritto di avere un futuro. Ci uniamo a Papa Francesco nel maledire i mercanti d’armi e i responsabili dei conflitti. 
Ecco perché oggi, più che mai, dobbiamo gridare con voce ferma e decisa: la Resistenza non si dimentica, la Costituzione non si tradisce!
Lo diciamo con le parole del presidente Mattarella: “La Costituzione è stata la risposta alla crisi di civiltà prodotta dal nazifascismo, per riaffermare il principio della sovranità e della dignità di ogni essere umano. Chiediamoci dove e come saremmo se fascismo e nazismo fossero prevalsi allora. Il frutto del 25 aprile è la Costituzione”.
Lo ribadiamo con le parole del presidente Sandro Pertini: “Oggi la nuova resistenza consiste nel difendere le posizioni che abbiamo conquistato; difendere la Repubblica e la democrazia”.
Il sogno dei partigiani è la nostra visione per il futuro: una società basata su valori come pluralismo, libertà, democrazia, eguaglianza, lavoro e solidarietà. Resistenza, Costituzione, Antifascismo: questi sono i pilastri su cui si fonda il nostro impegno per costruire un mondo migliore.

Viva la Resistenza! Viva l’Italia unita, repubblicana, democratica, solidale e antifascista! Viva il 25 aprile!

Giuseppe Martino
Presidente provinciale
Anpi Messina

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