A proposito delle straordinarie doti taumaturgiche del tavolo tecnico…

Chissà perché nel nostro Paese si attribuiscono doti taumaturgiche a quell’oggetto per lo più realizzato in legno e con 4 gambe, di varia lunghezza e fattura. Questa strana credenza nel fatto che il tavolo abbia doti magiche e risolutive è molto più radicata in realtà come la Sicilia, al punto che, sui più disparati argomenti e quando la soluzione appare lontanissima, la frase che mette tutti d’accordo è: sediamoci intorno ad un tavolo tecnico. Se sei amministratore e hai una gatta da pelare devi necessariamente sederti intorno a un tavolo. Del resto è scontato che se hai un tavolo devi per forza sedertici attorno. Sarebbe assai strano se qualcuno dicesse “sediamoci intorno a un falò per arrostire le salsicce e decidere cosa fare con il risanamento o decidiamo dove fare il Palagiustizia intorno al fuoco del caminetto mentre sorseggiamo un bicchiere di whisky (sebbene alcune proposte sul Palagiustizia sembrano partorite sotto l’effetto dell’alcol)”.

Ma col passare del tempo, si è pensato che bastasse sedersi intorno al benedetto tavolo affinchè, come in una seduta spiritica emergessero tutte le soluzioni. Alla luce dell’esperienza di milioni di tavoli tecnici dei quali ho sentito parlare in vent’anni di giornalismo, posso dire che se si parla di tavolo tecnico è perché non si sa quali pesci pigliare, non si vuole risolvere la cosa in tempi brevi o non la si vuole risolvere affatto. L’unica utilità del tavolo tecnico è per chi ci siede intorno, perché viene legittimato nel suo ruolo, viene immortalato nelle fotografie e soprattutto se non si risolve un tubo (cosa che accade nel 73% dei casi) le responsabilità sono divise tra i partecipanti, quindi più lungo e affollato è il tavolo minore sarà la colpa di ognuno. Inoltre più tavoli tecnici ci sono nello stesso periodo e più confusione c’è, meno la stampa e la gente assilleranno “i seduti” di turno per sapere come è finita. Generalmente ce ne scordiamo proprio.

Attualmente, e sono certa di sbagliarmi per difetto,i tavoli tecnici aperti tra Messina, Palermo, Roma e l’universo mondo sono: zona falcata, isola pedonale, Casa Serena, risanamento, Atm, mobilità (tavolo regionale), trasporti nello Stretto (nazionale), via Don Blasco, Palagiustizia, ex ospedale Margherita, emergenza rifiuti e discarica di Pace, svincoli e viadotto Ritiro, studio per l’alternativa al Ponte (questo sostituisce i precedenti nati in vista della realizzazione del Ponte), Tremestieri e problema tir, e, ultimo nato, annunciato dal ministro Poletti a Messina giovedì: emergenza lavoro.

A mia memoria da nessun tavolo tecnico è mai uscita una risposta concreta, per lo più invecchiano come i mobili antichi e finiscono nel negozio di antiquariato. “Guarda caro, c’è in esposizione il tavolo tecnico sul Ponte sullo Stretto, è durato almeno 20 anni, deve valere una fortuna, pensa quante autorità ci si sono sedute intorno, almeno una dozzina di ministri, una cinquantina di sottosegretari, per non parlare di presidenti, cda, dottoroni e ingegneroni”. Una delle caratteristiche del tavolo tecnico è che se non sei invitato non sei nessuno, socialmente parlando. E’ la partecipazione al tavolo tecnico che fa di te uno arrivato, che ti dà lo status. Conosco persone rimaste escluse da un tavolo tecnico che sono finite dallo psicoanalista in crisi di identità. Un tavolo tecnico poi dà importanza al problema. Se per risolvere la vicenda basta che un assessore di un Ente locale insieme ai dirigenti ci lavorino su, si applichino con competenza, e lo risolvano in due mesi, allora vuol dire che non è un problema serio. E’ il tavolo che fa la differenza e attribuisce importanza e status all’emergenza. Alla prima seduta, dopo le prime due ore necessarie all’appello, ai saluti e ringraziamenti di ogni partecipante, suona il gong, ovvero il momento in cui il capo-tavolo introduce il problema e, per dirla con il Gladiatore “al suo via si scatena l’inferno”. Ognuno pretende di avere la titolarità assoluta della concessione, del nulla osta, della conoscenza esatta delle radici dell’emergenza nonché della soluzione definitiva. Ognuno ha il Verbo e non tollera che altri ne abbiano uno diverso dal Suo. Cinque ore dopo, mentre si litiga ci si accorge che non è stato invitato l’unico dirigente o impiegato o professionista che è a conoscenza dell’iter del finanziamento o che ha la documentazione e che, non essendo un’autorità, nessuno ha degnato di uno sguardo. Oppure si scopre che la competenza sulla linea elettrica che dovrà illuminare le lampadine degli uffici della cabina di regia che si sta ipotizzando per risolvere la tematica, è di un ente che si credeva morto e sepolto ma che viene tenuto in vita perché ha un Cda con i gettoni di presenza, anche se l’unico impiegato passa le giornate a fare la settimana enigmistica o a studiare il sanscrito. Oppure si scopre che si è fuori tempo massimo per qualsiasi finanziamento e che l’unico modo per uscirne è andare a Lourdes o istituire un nuovo tavolo tecnico per risolvere l’emergenza scaturita dal precedente tavolo. Si invecchia intorno al tavolo tecnico e la soluzione si allontana. Nella società della burocrazia l’obiettivo non è realizzare, ma parlarne, dare l’idea di voler fare, ma non fare. Perché se fai rischi di risolvere davvero il problema e non essere più indispensabile per chi ti ha votato. Se la soluzione è facile, che ci stai a fare tu? Che senso ha essere classe dirigente se risolvi sul serio i problemi e non lasci invece i cittadini appesi alla speranza, all’annuncio di una risoluzione? L’unico obiettivo del tavolo tecnico è il fumo, creare l’illusione nello spettatore (che siamo noi), che si sta lavorando per aiutarci. Della zona falcata, per esempio, se ne parla da quando lavoravo a Telecolor, 20 anni fa. Su quell’inceneritore da trasformare in museo dell’archeologia industriale ho scritto quando ancora usavo la macchina da scrivere e non il pc. Il neonato tavolo tecnico sull’emergenza lavoro da convocare a Roma mi fa sorridere e mi chiedo cosa ne dovrebbe di concreto venir fuori e di cosa si dovrebbe parlare che non sia già noto sin nelle virgole, risposte comprese. Il tavolo tecnico sul viadotto Ritiro mi fa ricordare che nel giugno dello scorso anno scrissi una rubrica dedicata al ruolo socializzante dei lavori in autostrada. Ebbene, un anno dopo non un solo centimetro in più è stato guadagnato per la serenità mentale dell’automobilista e a giugno, piuttosto che scrivere un nuovo articolo, pubblicherò lo stesso cambiando la data (ecco il link e ditemi se ho torto e non vi pare scritto ieri http://www.tempostretto.it/news/funzione-socializzante-meno-male-nuovo-svincolo-c.html ).

Un vecchio detto recita: “cu voli va, cu non voli manna”, che si potrebbe tradurre: chi vuole fa e chi non vuole convoca un tavolo tecnico.

Magari invece in un tavolo-normale, tra una chiacchiera e una lasagna, le soluzioni tra i commensali si trovano. Nella tavola domenicale tra amici e parenti c’è sempre quello che racconta l’episodio giusto, che conosce la persona giusta. Alla fine al caffè o al babà, la soluzione per Casa Serena o l’isola pedonale, magari si trova.

Rosaria Brancato