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Limosani: “L’occupabilità relega UniMe all’ultimo posto, ma Messina non è Pavia”

Di Michele Limosani*

Ha ricevuto ampio spazio sulla stampa locale e nazionale il rapporto annuale del Censis sulle università italiane che relega  l’ateneo di Messina agli ultimi posti della classifica di merito. Sono molti i commentatori e gli studiosi che nutrono dubbi di natura metodologica sulle classifiche e sulla loro effettiva capacità di cogliere ciò che aspirano a individuare. La misurazione di un fenomeno complesso, come quello del sistema universitario, impone una certa dose di discrezionalità nella selezione delle informazioni ritenute rilevanti e di semplificazioni al punto che, in qualche occasione, è possibile attribuire allo stesso soggetto valutazioni differenti. Le classifiche, in generale, vanno lette “cum grano salis” ma costituiscono un prezioso strumento a disposizione delle istituzioni nel processo continuo di valutazione e verifica delle proprie attività.

I sei parametri presi in considerazione dal Censis

Il Censis pesa gli atenei italiani sulla base di sei dimensioni: strutture disponibili, servizi erogati, borse di studio, livello di internazionalizzazione, comunicazione e occupabilità. L’Università di Messina ottiene risultati non disprezzabili tra i grandi Atenei italiani per borse (10° su 19), servizi (13°) e strutture (11°); mentre invece va molto male in termini di comunicazione (18°), internazionalizzazione (17°) ed occupabilità (19°). Quest’ultima dimensione, in particolare, sembra penalizzare l’Ateneo di Messina nella classifica generale, visto il ridotto punteggio, appena 66 punti.

“La graduatoria viziata dal contesto in cui questo Ateneo lavora”

Soffermiamoci dunque su quest’ultimo indicatore; cosa suggerisce il dato sulla occupabilità? Una possibilità è che il nostro Ateneo, ma per la verità ciò vale anche per tanti altre Università del Mezzogiorno, è davvero scarso in termini di capacità di aumentare le probabilità dei nostri giovani di inserimento nel mercato del lavoro. Un’ipotesi alternativa è che, invece, l’indice del Censis catturi delle difficoltà nel tessuto socio-economico che rendono la graduatoria viziata dal contesto in cui questo Ateneo lavora. Ci pare particolarmente difficile considerare ceteris paribus le condizioni del mercato del lavoro a cui si rivolgono i neo-laureati di Messina e di Pavia, università che domina la classifica dei grandi Atenei. L’Istat suggerisce che nel 2021 il tasso di disoccupazione nella fascia 25-34 anni nella provincia di Messina è stato del 35.5%, contro il 9.8% in quella di Pavia. Ed il Sole 24 Ore, nella sua classifica sulla qualità della vita nel 2021, poneva Messina al quarto posto per disoccupazione giovanile, contro l’87esimo di Pavia. Numeri che rendono difficile pensare che l’occupabilità dei neo-laureati di queste due realtà sia davvero un qualcosa di comparabile.

Il lavoro a portata di mano di chi vive nelle province più ricche

Inoltre, c’è motivo di pensare che questo fenomeno renda diverse anche le popolazioni studentesche di riferimento. Paragonando i risultati degli studenti di due università, infatti, sia durante che dopo gli studi, assumiamo di stare osservando entità con caratteristiche omogenee. Ora, il lavoro a portata di mano per coloro che vivono nelle province ricche e industrializzate, in cui la possibilità di impiego è una opzione effettiva, rende la decisione di iscriversi all’Università più consapevole e meditata ed introduce una selezione a favore dei giovani più motivati rispetto a quelli che abitano in una provincia più povera, con alti tassi di disoccupazione, dove l’università rappresenta anche un ammortizzatore sociale, un investimento sul proprio futuro poco costoso in attesa di eventi futuri favorevoli. Gli economisti parlano spesso a tale proposito di selection bias.

“Il nostro Ateneo ha comunque molto da lavorare…”

Per concludere; certamente il nostro Ateneo dovrà lavorare molto per ribaltare questa classifica ma soprattutto dovrà introdurre discontinuità nelle linee di politica universitaria fin qui adottate sul lato dei servizi offerti ad i propri studenti, della comunicazione della internazionalizzazione ed, in ultima analisi, sui propri output di ricerca e di terza missione. Per diventare quell’ascensore sociale di cui la città ha bisogno e che merita. Ma a scanso di equivoci sarebbe opportuno operare nelle analisi comparate confronti tra entità omogenee per non mischiare “sauri e opi” o, se preferite, le mele con le pere.

                                                                                   *Direttore Dipartimento di Economia