Politica

Messina tra inferno e paradiso: un’idea di futuro ci salverà

MMESSINA – Un po’ paradiso, un po’ inferno. “Messina bella ma non ci vivrei”. A Messina “non c’è niente”, secondo il luogo comune, ma si parla. Si parla tanto, ma davvero tanto, e si litiga. Si critica, si disputa, si battibecca… Verrebbe voglia ogni tanto di riprendere vecchie frasi fatte per descriverla. Una città senza speranza. Una città con potenzialità di sviluppo e rinascita. Messina oscilla fra queste due posizioni antitetiche. Sembra la realtà ideale per alimentare le polarizzazioni al tempo dei social dove una cosa, un progetto, un libro, un un’idea, o fa schifo o raggiunge le vette della perfezione. Ma quello che serve è un’idea di futuro. Non un continuo oscillare tra la nostalgia per un passato glorioso e la depressione per un presente anonimo e degradato.

“O santa o puttana”, si diceva un tempo delle donne, condannandole a una visione manichea. Viene in mente la celebre citazione, anche se abusata, tratta dalle “Città invisibili” di Italo Calvino: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

Pensare alle potenzialità delle città dello Stretto

Allora, la vera sfida è saper riconoscere che cosa posssa rappresentare una via d’uscita nel segno dello sviluppo e del riscatto. Non rassegnarsi all’inferno ma concepire il futuro delle città dello Stretto come un’occasione per valorizzarne le potenzialità. La parola d’ordine oggi dovrebbe essere cura. Cura del territorio, delle strade, dei palazzi, delle periferie e del centro (quando aboliremo l’idea che esistano una periferia e un centro?). Ma la strada è davvero lunga per raggiungere un equilibrio, una qualità della vita che è ancora un miraggio. In assenza di una solida visione politica e culturale, trionfano i particolarismi, fonte di continui litigi senza costrutto, in alternativa a una dimensione collettiva e comunitaria.

C’è il messinese che guarda solo al passato, quello che critica sempre e quello che cerca un riscatto possibile

Nel frattempo, mentre si spera di raccogliere i frutti dei tanti cantieri (lì il problema sono i tempi) e dei progetti che dovrebbero partire, che cosa ci dice questo continuo dibattere su parcheggi, isole pedonali, ponte sullo Stretto, nuove forme della città? Sul rendering come nuovo stimolo alla polemica ma anche al sogno, mentre divampa un aspro contendere sui tanti elementi del caos quotidiano? Ci dice che, nonostante tutto, una parte degli abitanti di questa città ci tiene a vederla riprendersi o vorrebbe che si riscuotesse dall’atavico torpore. E un’altra parte, invece, ama la critica continua, qualsiasi cosa si faccia, senza entrare nel merito delle questioni: anche su questo dobbiamo essere onesti.

C’è il messinese che guarda solo al passato glorioso e si rapporta al presente solo in chiave di nostalgia. C’è il messinese che vede solo inferno nel quotidiano e si nutre di questo degrado per criticare gli altri e assolvere sé stesso rispetto alle proprie mancanze di cittadino. E c’è chi si ostina a cercare, con la lanterna della razionalità e la passione di chi non si rassegna, qualcosa di buono, in questa città, da preservare e fare germogliare, seminando bene. A questo tipo di soggetti il nostro giornale guarda per costruire, insieme, ognuno con il proprio ruolo, una società più decente e una città più vivibile.

Di una cosa siamo certi: abbiamo bisogno di radici ma non di un passato castrante. Basta venerare gli antichi fasti e denigrare il presente: serve cogliere le potenzialità del territorio, senza pensare che sia o tutto “bello” o tutto “brutto”. Il futuro di Messina passa da una visione complessa e aperta a tutti gli scambi possibili con il mondo. Servono più idee e progetti e meno nostalgie, che rischiano d’imbalsamare la città.