Coronavirus

Ecco il Covid. Gli ultimi 38 giorni di Renato. Una storia di paure, domande, dolore

Ci sono case in cui quest’anno il Natale non sarà Natale. Niente festa, niente gioia, solo tanto dolore che non riesce a trovare un senso. Tante, troppe domande rimaste senza risposta. “Potevamo fare di più? Avremmo potuto battere i pugni più forte? Ci siamo affidati ai medici sbagliati?”. Dubbi e angosce in cui è precipitata una famiglia che ha incontrato il maledetto Covid sul suo cammino. A raccontare questa storia è Grazia. Una donna che non riesce a darsi pace e che adesso vuole solo che quello che è accaduto a loro non capiti più.

«Vi racconto gli ultimi 38 giorni di un uomo. Non è mia abitudine parlare del mio privato, lo faccio perché siamo alla seconda ondata di questo maledetto virus e ancora c è trappa superficialità ed è inammissibile. Immedesimatevi per qualche minuto». Inzia così il suo racconto. Il protagonista è Renato, 73 anni, un professore in pensione pieno di vita, ligio alle regole, perfettamente in salute. Era il secondo papà di Grazia e lei era come una figlia per lui. Tanti anni fa le loro vite si erano perfettamente incastrate, come se il destino volesse dar loro una seconda possibilità dopo aver tolto tanto a entrambi. Grazia aveva perso il suo papà per una malattia. Renato aveva perso sua figlia poco tempo dopo. Incontrò la mamma di Grazia, iniziarono un cammino di vita insieme. E Grazia diventò come una figlia per lui. Renato la accompagnò all’altare nel suo giorno più bello, diventò nonno. Entrambi avevano trovato quel pezzo mancante. Andava tutto bene. Poi arrivò il Covid.

Gli ultimi 38 giorni di Renato

Ecco gli ultimi 38 giorni di Renato. Il 30 ottobre inizia ad avere un po’ di febbre, assume della tachipirina. Ma la febbre non va via, così il 1° novembre contattano il medico di famiglia. Non può visitarlo, quindi prescrive antipiretico e bustine per la tosse. Il 2 novembre ancora febbre, il medico prescrive un antibiotico per tre giorni. Il 4 novembre la febbre persiste, il medico dice di iniziare anche il cortisone e sotto insistenza si decide finalmente ad attivare il protocollo per fare il tampone. Il 6 novembre l’Usca fa il tampone, ma l’esito non è mai arrivato. Neanche adesso. Controllano petto e spalle, sembra tutto a posto, il saturimetro non funziona. Il 9 novembre ancora temperatura ed ha difficoltà a respirare, il medico di base dice di chiamare il 118. Il 118 consiglia di andare a comprare una bombola di ossigeno, un saturimetro e di monitorare la situazione.

Tampone positivo

Dopo varie telefonate e una certa insistenza finalmente arrivano a casa per controllare Renato. Per prima cosa fanno il tampone rapido: negativo. Tiriamo un respiro di sollievo. Controllano petto e spalle, sentono che c’è qualcosa che non va, la saturazione è a 84. Decidono di portarlo al Pronto Soccorso dell’ospedale Papardo. Lì fanno il tampone molecolare e dopo 70 minuti il risultato: positivo al Covid. Fanno le lastre: polmonite interstiziale bilaterale. Paura. Panico. Ci tranquillizzano: ha 73 anni ma non ha altre patologie, ci sono ottime possibilità che la situazione non peggiori.

Il ricovero in ospedale

Inizia il calvario vero e proprio. Alle 18 viene ricoverato in pneumologia Covid. Ci spiegano che per avere notizie si può telefonare solo una volta al giorno, non c’è un orario prestabilito per parlare con i medici, dunque a fortuna. Ci imbattiamo in personale sanitario maleducato, scortese, per niente umano e solidale per chi c’è dall’altra parte. Il 10 novembre, come da protocollo, inizia la terapia con antibiotico, cortisone e ossigeno con mascherina. Passano i giorni, tutto resta invariato, soprattutto la polmonite non accenna a migliorare. Chiediamo della terapia al plasma, ci dicono che non sono autorizzati a farla. Il 16 novembre l’ossigeno con la mascherina non basta più, si passa al casco cipap. Agonia pura. Mettono il catetere per limitare i movimenti, data la saturazione. Il 20 novembre la saturazione e la pressione precipitano, dev’essere trasferito al piano di sotto, in rianimazione, e ha bisogno di essere intubato.

Renato finisce in rianimazione

Non riusciamo a crederci, era stabile, non sta accadendo davvero, vogliamo vederlo, vogliamo rassicurarlo, ma sappiamo che niente di niente è possibile. Troviamo personale sanitario più disponibile e cortese, anche qui si può chiamare solo una volta al giorno, dalle 18 alle 19, tutto il giorno ruota nell’attesa di poter fare quella sola ed unica chiamata. Nuovo approccio, nuove terapie: antibiotico, cortisone, eparina. Ansia. Paura. Panico. Tutto surreale. Non riusciamo a farcene una ragione. Visto che non aveva altre patologie perché peggiora sempre di più? La risposta che riusciamo a darci è solo una: questo virus non guarda in faccia nessuno.

Il 25 novembre la situazione peggiora sempre di più, la malattia progredisce. Ossigeno al 100% e non basta, ha crisi respiratorie, nonostante sia intubato. Il cuore inizia ad accusare il colpo e fanno terapia, poi è il momento dei reni, va in dialisi. I medici ogni giorno a piccoli bocconi ci dicono che non ci sono molte speranze di una ripresa. Passano i giorni. Ad ogni chiamata non c’è mai una buona notizia, è gravemente stabile, ha delle buone fibre, sta lottando tanto, ci dicono di non perdere le speranze.

6 dicembre, ore 16.47

6 dicembre, ore 16.47, squilla il telefono: arresto cardiaco. Renato non c’è più. È tutto finito, così in 38 giorni. Si è spento in una stanza di ospedale, senza nessuno che gli volesse bene a stringergli la mano. Lo abbiamo salutato dal portello dell’ambulanza al Pronto soccorso. Da quel momento non l’abbiamo più visto. Renato, come tutte le persone che muoiono per questo maledetto virus, ci è stato strappato così. Quello che ci è rimasto è una busta con il suo orologio, la fede, il tablet. Non doveva andare così. Forse sarebbe potuto andare diversamente, non lo spremo mai».

Il Covid che toglie dignità alla morte

Adesso resta soltanto una grande amarezza. Non essergli stati accanto lascia un vuoto che è difficile da razionalizzare. Renato non c’è più senza che la sua famiglia lo abbia potuto salutare davvero. Una morte senza dignità. Il Covid è tutto questo. Un dolore sordo che accomuna migliaia di famiglie che non avranno Natale quets’anno.

Grazia lo saluta così: «Ciao Renato, sei sempre nei nostri cuori. Terremo vivo il tuo ricordo con i tuoi adorati nipoti, che come dicevi tu, ti avevano ridato la voglia di vivere. Ecco cos’è il Covid, ve lo presento.